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Stai leggendo: "Carta, forbici e sasso" di Quinto Moro

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3. Ciak! Si va in scena
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La scena in esterni, col campo lungo della piscina, fu la più rognosa da filmare. S’era messo un vento rompiscatole che mandava nuvolette guizzanti che facevano cambiare continuamente l’illuminazione, spegnendo quell’illusione da paradiso californiano, buttando sull’erba e l’azzurrino della piscina tinte stinte e grigiastre. Tra quelle maledette nuvole e Mark che arrancava come uno stoccafisso, ben lungi dal sicuro e spavaldo maschio alfa, la ripresa fu ripetuta un’infinità di volte. Mark inciampava su qualsiasi cosa, andava troppo veloce o troppo piano, guardava in macchina – benché gli fosse stato ripetuto in tutti i modi di non farlo. Ted si ostinava a girare quel breve piano sequenza, dove al minimo errore bisognava ricominciare daccapo. Al decimo tentativo Mark perse le staffe e mandò tutti a fare in culo. Ci vollero le dolci carezze di Tammy, e la promessa del miglior sesso della sua vita a fargli eseguire gli ordini del pazientissimo Ted. Tim riprendeva tutto, dalle liti ai bloopers, vagando con l’inquadratura fra tutti gli angoli del soggiorno per poi tornare a corpi mezzi nudi, in attesa di un’erezione visibile sugli slip di Mark. Tammy aveva acceso l’impianto stereo al piano di sopra con una di quelle musichette melense e suadenti, perfette per una scena softcore. Dalla porta aperta la musica si spargeva giù per le scale e fino al soggiorno, e raggiungeva la piscina grazie alla finestra aperta. La musica rilassò gli animi e creò la giusta atmosfera. Mark capì come muoversi e alla tredicesima ripresa il risultato fu soddisfacente. L’aria si fece tesa al punto giusto, facendo crescere l’eccitazione generale. Tammy sbaciucchiava le braccia e i pettorali scolpiti di Mark, con un reciproco affondare di dita ai glutei. Finalmente si procedeva al momento clou. Mark spinse Tammy sino al mobile che troneggiava fra la zona relax del soggiorno e quella più funzionale della cucina. L’afferrò per le cosce con foga e desiderio lasciandola ricadere con un perfetto spat! di chiappe sul bancone, sfilandole la camicetta come da copione. Mentre i seni di lei entravano nell’inquadratura e nella bocca di Mark, fuori scena le forbici scivolavano lungo il bancone, spinte dalla mano di Ted fuori inquadratura.
Tammy prese le forbici, scostò l’ormai irruente Mark dal suo petto e le fece tintinnare in un metallico zac!zac!zac! Mimò il gesto di taglio dell’elastico del tanga, carezzando il mascellone di Mark per alzare di nuovo le forbici in un gesto sensuale. Tammy mimò di tagliare un ciuffo ribelle sulla fronte di Mark, che era sempre più impaziente di seguire la parte migliore del copione. Tammy gli mise la mano sulla faccia, lo baciò abbastanza da respingerlo perché riprendesse contatto con tutta la maestosità dei suoi seni scoperti, e mentre estasiato si preparava ad agguantare le forbici per liberarla finalmente da quella piccola cintura di castità, le forbici s’abbatterono su di lui.
Tammy colpì senza forzare il gesto. Un colpo secco, nell’orbita dell’occhio destro, presso il dotto lacrimale. Tammy s’era aspettata uno schizzo di sangue e fu delusa per l’assenza di reazione dal volto e dal corpo di Mark.
“Accidenti” sussurrò Ted, pure lui contrariato per la resa della scena. Ma Tammy era brava ad improvvisare, ed estratte con prontezza le forbici si prese in faccia e sul seno lo schizzo di sangue che pareva tagliarla a metà, mentre zampillava dall’occhio di Mark come un pianto a dirotto. Tammy l’afferrò prontamente per il collo perché non cadesse all’indietro, uscendo dall’inquadratura. Il secondo fendente fu quello decisivo e fece rovesciare il corpo di Mark all’indietro, che sbatté di schiena sul retro del divano prima di rimbalzare sul parquet con tonfo sordo.
Tim s’accucciò rapido a raccoglierne gli ultimi respiri della vittima con un primo piano strettissimo. Ted lo raggiunse alle spalle per constatare la bontà dell’inquadratura, che era sì buona, ma il risultato lontano dalla perfezione.
 “Ma che palle!” tuonò Ted “continua a sembrare un cazzo di ebete. Nemmeno nella scena della morte riesce a darmi un minimo di emozione, di tristezza, di fatalità”
“Ci montiamo sopra una musica drammatica” propose Tim.
“Bisognerebbe resuscitare Beethoven e fargli scrivere qualcosa apposta per quella faccia di cazzo”
“Eddài Teddy ” fece Tammy “non trattarlo male. Sta morendo, lasciamolo un po’ in pace”
Mentre Mark spirava tra lente convulsioni Tim indietreggiava ad accompagnare l’ingrandirsi della pozza di sangue sotto di lui. Dopo tre lunghi minuti di silenzio e inquadratura fissa, con un ultima contrattura del collo Mark rese l’anima al cielo, Tim sciolse la macchina da presa dall’imbracatura e la posò sul piano della cucina. Ted sembrava deluso ma Tim alzò entrambi i pollici, alla Fonzie, e gridò soddisfatto: “buona la prima!”
 
Tammy si muoveva a passi lenti e annoiati, come facendo un ballo con se stessa nella stanza da letto di Mark, tappezzata di pacchiani quadri con nudi patinati e pin-up cartoonesche. Due intere pareti erano occupate da armadi zeppi di vestaglie Hugo Boss, jeans stracciati Tom Ford, camicie di Celine e Gucci alla rinfusa. C’erano più mocassini e stivaletti in quelle scarpiere di quanti ne avesse visti indosso a Tim e Ted in tutta la loro vita. In fondo a un cassetto, tra scatole vuote di profilattici e mutante Calvin Klein stava un astuccio con bracciali, anelli e catenine. Tammy soppesò il bottino facendolo saltellare tra una mano e l’altra: c’erano almeno due chili d’oro. Buttò l’astuccio sul letto e prese a indossare le camicie da uomo di Mark, ne trovò una nera abbastanza attillata da disegnare la silhouette dei suoi fianchi e stringere i seni in una forma unica, elegante e provocante. Strappò dalle pareti le stampe, raccattò i gioielli e tornò al piano di sotto spargendo gioielli e pezzi di poster di donne nude per tutta la casa.
“La colazione è pronta” gridò Ted.
“Sarà mezzogiorno” sbuffò Tammy.
“Andiamo da McDonald’s?” propose Tim. Teddy gli tirò in testa un tovagliolo.
Tammy alzò la mano. “Io voto per B.B.King”
“Niente Burger King” obiettò Ted “un giorno mi spiegherete come fate voi due ad avere quei fisicacci da copertina con tutta la merda che mangiate”
“Sei risentito solo per la tua pancetta Teddy?” lo sfotté Tim.
“Dovremmo farti a fettine la pancia” disse Tammy andando ad abbracciarlo da dietro, tamburellando con le dita sull’epa prominente di Ted “sfameresti la nostra voglia di bacon e avresti una circonferenza più adeguata”
Ted e Tammy si scambiarono un bacio casto, sulle labbra, da vecchi amici. Ted aveva strapazzato due uova e arrostito qualche fetta di pancarré rinsecchito. Cercò di insaporire il tutto con olio, sale e pepe, presentando come meglio poteva il pasto sui piatti in arcopal.
“Scusate ma non c’era granché in frigorifero” disse Ted.
“Se Calvin Klein producesse merendine ne avremmo trovato un armadio pieno” rise Tammy.
Consumarono la colazione ridendo e scherzando come sempre, riprendendosi a vicenda con la telecamera in un finto making of del filmino appena realizzato.
“Allora Tammy, com’è stato lavorare al fianco di Mark?”
Tim inquadrò i piedi pallidi di Mark, irrigidito e freddo sul pavimento.
“Sai” fece lei mettendosi la mano sul petto per darsi un contegno, con tono da snob “non credo che avrà un futuro in questo settore”
I tre risero.
“Com’era il suo guardaroba?” chiese Ted, facendo cenno a Tim di mettere giù la telecamera.
“Uno sfoggio di portafogli gonfio e gusto da televendita” disse Tammy, buttando sul tavolo un mazzetto di braccialetti d’oro e d’acciaio.
“Ci potremmo sfamare un migliaio di poveri orfanelli per un mese” disse Ted esaminando i gioielli e addentando un triangolo di pane tostato.
“Con quello che c’è di sopra, pure per due anni” disse Tammy.
“Non siamo qui per fare i Robin Hood del cazzo” fece Tim con la bocca piena.
“Certo te no” disse Ted lanciando un bracciale d’oro – grosso come una catena da motocicletta – dritto sulla fronte rosso sprizzata di Mark.
“Hai pensato a un titolo per il film?” chiese Tammy.
“Qualcosa tipo La focosa, oppure Tutta un fuoco” disse Ted.
“Banalotti”
“Perché non Carta forbici e sasso?” fece Tim.
“Quello sarà il titolo della nostra biografia” rise Ted.
“Allora Carta forbici e sesso?”
“Se non me lo facevi ammazzare così presto ci poteva stare” ammiccò Tammy.
“Non ti ho detto io di ammazzarlo subito” replicò Ted.
“Ho rispettato il copione. Non è colpa mia se sei stato troppo pigro, o troppo geloso per farmi girare una scena degna del terzo girone dell’Inferno”
“Ma quello dei lussuriosi è il secondo” precisò Ted.
“Secchione”
“Sgualdrina”
Tammy allungò la mano a strizzare i testicoli di Ted che per poco non soffocò nel boccone di uova.
“Chi ci sta nel terzo?” chiese Tim.
“I… uff… i golosi…” fece Ted ansante, ingollando un bicchier d’acqua e battendosi il petto.
“Quelli che si strozzano”
Tammy e Tim risero di gusto.
“Comunque sono sempre in tempo” fece Tammy scrutando il cadavere “c’è il rigor mortis no?”
“Cristo Tammy, stiamo cercando di mangiare”
“Sto scherzando” Tammy s’avvinghiò al braccio dell’uno e poi dell’altro, schioccando a ciascuno un bacio sulla guancia.
“Tutta un fuoco mi piace” disse Tim.
“Un bel falò?” chiese Tammy.
“Gli amici suoi ci hanno visti ieri notte” disse Ted “più tracce bruciamo e meglio è”
Ultimarono la colazione discutendo le prossime mosse. Tammy spiò le chat sul cellulare di Mark, ne aveva letto abbastanza da replicare la sintassi approssimativa. Le arti amatorie di Mark erano al centro di più d’una conversazione, e Tammy dava a quell’invidioso invisibile pubblico quel che voleva. Aveva poi costruito una storia su di un’amica che li aveva raggiunti nella notte, ancor più strafiga della prima (ovvero lei stessa), e Mark sarebbe andato a farci il weekend a Montecarlo a bordo della Porsche Cayman di lei.
“Non esagerare con le storielle” disse Ted sbirciando lo schermo.
“Timmy” strillò Tammy ignorandolo “a che punto siamo col falò?”
Tim aveva riflettuto su come far propagare il fuoco, svuotando gli armadi e spargendo vestiti per le scale e per quegli anfratti di casa dove immaginava più difficile l’avanzata dell’incendio, poi si ribellò: “m’avete fatto pulire quello schifo di piscina e volete bruciare la casa?”
“Cos’accidenti ci azzecca questo?” fece Ted.
“Buttiamolo in piscina e basta” disse Tim.
“Non sembrerà mai annegato”
Tim levò le forbici dal cranio di Mark e le agitò sotto il naso dei compagni. “Non sembrerà mai un bel niente con quel buco nel cranio. Non passerà per un incidente, e cli incendi dolosi si scoprono sempre”
“Io non ho voglia di ripulire tutta la casa per paura di aver lasciato impronte” disse Tammy, poi si fece scura in volto “però l’incendio potrebbe scappare e fottersi tutta la scogliera, col vento che c’è oggi…”
“Sentite, non ci siamo mai preoccupati tanto delle impronte” disse Tim “non siamo in una fottuta puntata di C.S.I., siamo a trecento chilometri da casa, anzi nemmeno ce l’abbiamo più una casa, quindi non rompiamoci più di tanto.”
“Giusto” disse Tammy laconica, pulendo le forbici insanguinate sul bracciolo della poltrona.
“Allora buttiamo tutto in piscina” fece Ted.
“Mi avete fatto pulire quella cazzo di piscina…” ripeté  Tim.
“Non fare il guastafeste” disse Tammy “è una buona idea”
“Fanculo. Fatelo senza di me” brontolò Tim andando a caricare l’imbracatura della steadycam in macchina.
Ted e Tammy trascinarono il cadavere di Mark fino alla piscina, poi Tammy salì nella stanza da letto e svuotò gli armadi, facendo volare giacche Berluti, mutante Calvin Klein e canotte Emporio Armani giù dalla finestra. Di sotto, Ted cercava di afferrare tutto al volo come un bambino che andasse a farfalle. Buttava tutto in piscina. A seconda dei tessuti, i vestiti profondavano sul fondo della piscina mentre tanti altri galleggiavano e s’impastavano in isolotti e continenti griffati.
“Dài Timmy” gridò Tammy all’amico imbronciato “unisciti al gioco”
Tim si sentiva ancora sulle dita la puzza di foglie marce tolte dalla piscina meno di un’ora prima, ma alla fine cedette. Snobbò i vestiti e tirò dritto al soggiorno, buttando in piscina tutto quel che gli capitava: sedie, cuscini del divano, cassetti, la macchinetta del caffè, tre televisori al plasma e un numero imprecisato di altri dispositivi elettronici. Il buon Ted si offrì di aiutarlo a portare fuori alcuni mobili più pesanti – una scarpiera, un tavolo, e gli sgabelli su cui avevano fatto colazione.
A pomeriggio inoltrato la villetta pareva vuota mentre la piscina strabordava d’un ammasso di oggetti ballonzolanti. Da qualche parte, la schiena nuda e ben scolpita di Mark si poteva scorgere incastonata tra un cuscino in pelle, piumini Moncler, scarponcini Versace, Clarks e il bricco del frullatore che ballonzolava come un vuoto messaggio in bottiglia.
Ted insisté per una ripresa finale sull’ammasso che riempiva la piscina come un blob venuto dallo spazio, una creatura senz’anima eppur vivente, fatta di forme e colori che cambiavano nel moto delle ombre e il galleggiare lento e incostante.
Tim piazzò la macchina da presa fissa perché inquadrasse la piscina e il trio di spalle: Ted, Tammy e Tim abbracciati e teneri. Erano giovani ed eccentrici. Ed erano malinconici a guardare il guazzabuglio di vestiti, mobili e carne che galleggiava sulla piscina.
Ted alzò al cielo la sua breve sceneggiatura e l’accese con un uno zippo dorato. Agitò il rotolo di carta come una fiaccola olimpica. “Carta!”
La fiammata s’ingrandì incontrando plastica e piume del giacchetto Moncler, propagandosi rapida agli altri vestiti e scarpe intorno alla schiena di Mark.
“Forbici!” fece Tammy gettando l’arma del delitto in acqua. Tim si guardò intorno alla ricerca di qualcosa di pesante. Raccattò una statuetta di testuggine, una decorazione pacchiana del giardino, e si trattenne dal gettarla nella piscina. Si produsse invece in uno spettacolare lancio del peso che fece schiantare la statuetta sul parabrezza della Maserati di Mark venti metri più in là. Fu un lancio spettacolare che si concluse co nun tonfo altrettanto incredibile, celebrato dal trillo di Tim a pieni polmoni: “SASSO!”
 
Il trio lasciò la villetta di Mark che il sole calava. Il piccolo incendio, circoscritto all’interno della piscina, aveva consumato tutto in un fumo nero che sapeva di plastica e carne bruciata. Le fiamme, resilienti su plastiche e mobilio di legno, s’erano levate alla misura di due metri per due ore per poi spegnersi di colpo. Il fumo aveva proseguito la sua danza asfissiante per ore, ricadendo in anelli e scie sul prato annerito.
Nei giorni seguenti, Ted Tammy e Tim parlarono di Mark e quella casa solo una o due volte, senza particolare entusiasmo. Altri giorni e altre case, altre sceneggiature e altri Mark li attendevano oltre l’orizzonte.
Fine.
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