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Stai leggendo: "Carta, forbici e sasso" di Quinto Moro

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1. Baldoria!

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Venerdì sera. Tim, Tammy e Ted se ne stavano a ridere e scherzare davanti a una ciotola di salatini e tre calici di spritz. Tre calici a testa, nessuno dei quali completamente pieno o vuoto, per lasciare Tim libero di esibirsi a picchiettare con la forchetta sui bicchieri come in uno xilofono. Erano di buonumore. Erano giovani, spensierati ed eccentrici.
Tim era il più corpulento e alto, un ragazzone ben piazzato con l’aspetto virile stravolto e rovinato dalla faccia da eterno bambino. Si ostinava a portare i capelli a scodella come quando stava alle elementari, il che non aiutava. Coi suoi ventisette anni era il più giovane e pacioso dei tre.
Tammy di anni ne aveva ventotto ed era nel pieno del suo splendore. Era spiritosa e dotata di un brillante sarcasmo che si costringeva tenere a freno. La sua bellezza aiutava a distrarre chi ne subiva le sagaci battute. Risultava attraente con qualunque capigliatura o vestito portasse. Tammy aveva il viso minuto e liscio, un naso piccolo e perfetto, alla francese. Le labbra naturalmente carnose non avevano bisogno del rossetto per risaltare. Aveva occhi grandi d’un castano chiaro brillante, dal taglio felino che le conferiva un’aura mitologica, da creatura non di questa terra. Il corpo era sottile e slanciato. Le rotondità ben proporzionate sul fisico. Era la più istruita del trio benché non avesse proseguito gli studi dopo il diploma, come pure i suoi due amici.
Ted era il più grande coi suoi trentaquattro anni, ma ne dimostrava di più. La stempiatura era coperta solo in parte dai capelli trasandati, da intellettualoide. Aveva occhietti piccoli e taglienti, ingranditi dalle spesse lenti sugli occhiali dalla montatura pacchiana, che accentuavano quella sua malcelata aura di superiorità. Aveva una bocca ampia capace di profferirsi in risate poderose e sonore, anche se il temperamento riflessivo – e spesso cinico – teneva a freno gli exploit del carattere un tempo indomito ed ora misurato. Era certo il più maturo del trio, al di là dell’età, ma mai s’era guadagnato l’etichetta del guastafeste. Al contrario, reagiva con entusiasmo alle proposte degli altri due.
I tre erano inseparabili e, benché non navigassero nell’oro, trovavano sempre il modo di imbucarsi alle feste di gente ricca e/o famosa. Riuscivano a fingersi assistenti e galoppini, oppure starlette e fighetti dello showbiz pronti a fare il grande salto. L’abilità di Tammy nel trucco e parrucco era servita più d’una volta a camuffare se stessa e i due amici per somiglianze più o meno forzate con V.I.P. e loro parenti e simili. Riuscivano così ad infiltrarsi in luoghi ove il loro portafogli non era all’altezza del menù, ma trovavano il modo di incastrarsi nel marasma senza che qualcuno cogliesse l’inganno, come quella sera nel privé. Ridevano e scherzavano sulle rispettive avventure amorose andate a male quando un marcantonio di due metri si prese la scena, attraversando la saletta circondato da tre amici atteggiati e abbigliati come lui. Tammy gli mise subito gli occhi addosso e il marcantonio, passato di rimbalzo dal culo di una cameriera a quello di due ragazzine, si trovò a fissarla ammiccante.
“Uuuuuhhhh” fece Ted sfottendo Tammy “abbiamo visto qualcosa che ci piace eh?”
“Tu che dici? È uno vero o uno finto?”
“Dipende dal punto di vista” rise Tim, più tagliente e arguto del solito.
“Scarpe Tom Ford” iniziò a misurare Ted “maglietta Valentino, i pantaloni non li riconosco”
“L’orologio?” chiese Tammy.
“Non sembra un Rolex. Scommetto un altro giro di bevute sul Panerai”
“Cosa cazzo è un Panerai?” fece Tim.
“La fama che gli manca rispetto al Rolex la colma col prezzo”
“Io scommetto sul Rolex” disse Tammy “quello sembra il tipo da Rolex”
“Scommettiamo il prossimo giro?”
“Andata” fece Tammy, e sfoderato dalla borsetta un rossetto vinaccia come fosse una pistola puntò dritta al bancone, massaggiandosi le labbra per fissar bene il colore.
Tammy s’infilò tra quei corpi maschi aprendo il quartetto come Mosè col Mar Rosso, ché tutti vollero prendere la giusta distanza per squadrarla da capo a piedi. Nel quartetto griffato Valentino, il marcantonio si distingueva dagli altri per la stazza e il forte odore di Eau Savage, non ancora alterato dalla fiata alcolica e dal sudore.
Tim e Ted si godevano la scena a distanza con un pizzico di invidia.
Tim prese il cellulare e lo agitò sotto il naso di Ted. “Che dici, chiamo l’ambulanza? Adesso ne fa svenire qualcuno”
“Togli pure la esse” ammiccò Ted.
“Secondo te cosa si stanno dicendo?” a Tim non importava, ma c’era un gioco che facevano sempre, con Ted che mimava il dialogo a distanza.
Ted non si fece pregare, si schiarì la voce e mimò un accento idiota a sfottò del marcantonio: “oh, quei due minchioni fanno alzare la signora per prendere il drink? - poi una vocina suadente con l’accento di Tammy - è che io sono molto servizievole sai? – oh, sì, scommetto che sei brava coi servizietti – hihihi sciocchino – hey dolcezza, perché non molli le schiappe e non mi fai sentire le chiappe”
Sullo sfondo però la chiacchierata era finita, Tammy tornava al tavolo con due flûte di spritz in una mano e un Bloody Mary nell’altra.
“Hai vinto tu” disse Tammy “l’orologio è un Panerai”
“Bingo” fece Ted.
Tim rideva ancora della pantomima.
“Quali oscenità hai fatto uscire dalla mia bocca stavolta?” fece Tammy, che conosceva il gioco.
“E’ stato troppo breve, mi stavo appena scaldando” disse Ted, e indicò il Bloody Mary “hai fatto colpo?”
“Avevi dubbi?”
“Allora non ci rimboccherai le coperte stanotte?”
“Non ho ancora deciso” disse Tammy sfilando il sedano dal cocktail e voltandosi per leccarlo sotto gli sguardi ammiccanti dal quartetto Valentino. Si voltò di nuovo verso Tim e Ted e giocherellò, infilando il dito nel bicchiere, guardando il rosso gocciolare sul polpastrello per poi succhiarlo.
“Stanno sghignazzando?”
“Vuoi che ti mimi la conversazione?” fece Ted.
“Ho in mente qualcosa di più divertente” disse Tammy succhiandosi il dito, e scandì bene “carta, forbici e... SAS-SO!”
Senza dar tempo ai compari di reagire si voltò verso il marcantonio, sbracciandosi per invitarlo al tavolo. Il ragazzone dopo occhiate d’intesa con la banda Valentino, s’avviò baldanzoso, petto in fuori e pacco prominente. Sembrava che Tammy l’avesse preso al lazo alla cintola e lo tirasse a sé.
“Mark” disse scostandosi per lasciargli spazio sulla poltroncina “questi sono i miei amici Teeeed, e Tim. Miei cari Ted e Tim: lui è Mark”
Tammy si avvinghiò al braccio muscoloso di Mark, prese il suo Bloody Mary e gliene offrì un sorso.
“Io e i ragazzi” proseguì Tammy con tono allusivo “vogliamo fare un gioco”
“E io posso partecipare?” chiese il palestrato ed eccitatissimo Mark-antonio.
“Dopo” fece Tammy mettendogli l’indice davanti alle labbra “adesso devi solo guardare”
“Adesso?” sgranò gli occhi Mark “volete giocare qui?”
“Che c’è Mark” Ted lo nominò con una punta di disprezzo “sei un ragazzo timido?”
“No” fece Mark guardandosi intorno e dandosi un tono, drizzando la schiena e allungando la mano sulla coscia di Tammy, che si divincolò mentre si alzava in piedi. Tim e Ted si alzarono con lei.
Mark rimase seduto, un po’ per godersi la rotondità del culo perfetto di Tammy che gli stava a dodici centimetri dal naso e un po’ per lo sconcerto del gioco che prendeva forma sotto i suoi occhi.
“Carta” disse Tim.
“Forbici!” disse Ted.
“SASSO!” esclamò Tammy.
Mostrarono la mano nello stesso momento, con gesto netto. Ted e Tim avevano il palmo aperto nel gesto della carta, Tammy il pugno chiuso del sasso.
“Oh Tim” protestò Ted “eccheccazzo!”
“Pure tu hai fatto carta, colpa al cinquanta per cento”
“Bambini non litigate” fece Tammy “secondo giro: carta…”
“Forbici” rilanciò Tim.
“SASSO!” gridò Ted.
Stavolta tre forbici su tre.
“Ma dai” protestò Tim.
“Ma che cazzo state facendo?” fece Mark allibito.
“Sta zitto!” ruggì Tammy, poi rifacendosi dolce e dandogli un buffetto sulla guancia “è il nostro gioco, abbi un attimo di pazienza”
“Potevamo farlo prima di invitare coso qui…” fece Tim.
“Mark” disse Mark.
“E’ più divertente se c’è anche lui a guardare” disse Tammy “anche se adesso non capisce”
Ted alzò il bicchiere con lo spritz e scolò l’ultimo goccio, batté le mani e puntò gli indici agli occhi sgranati di Mark: “don’t worry BOOOY, tutto questo avrà un senso tra poco, e ci divertiremo tutti insieme!”
Di nuovo, carta forbici e sasso. Stavolta furono Tammy e Ted a pareggiare, forbici entrambi.
“Ma non è così che si gioca” disse Mark.
Il trio lo ignorò, rilanciando, e finalmente Tammy si profuse in un’esultanza bambinesca, s’avvinghiò tutta a Mark e prese a mordicchiargli l’orecchio. Stordito, il ragazzone si mise a palpeggiarla allegramente incurante di tutto.
Ted schioccò le dita e Tim corse a prendere un altro giro per tutti quanti.
“Confuso Mark?” fece Ted.
Mark stava prendendosi mezzo metro di lingua in bocca da Tammy, famelica e aggressiva. Lei smise di baciarlo solo per mettersi in bocca l’ultimo cubetto di ghiaccio rimasto dal bicchiere del Bloody Mary e giocherellarci con la lingua.
“Noi lo giochiamo in modo un po’ diverso” spiegò Ted “non lo facciamo come il classico carta forbici e sasso. Lo scopo non è di battere gli altri, altrimenti avremmo fatto gli spareggi. Ognuno deve avere un punto diverso: se in due fanno carta, o due forbici, bisogna ripetere. Noi siamo in tre, e ciascuno deve avere un punto diverso” Mark non ascoltava ma Ted continuava, cercando di non infastidirsi per le manate tentacolari sul culo e le cosce di Tammy “perché si tratta di decidere ognuno un ruolo nel gioco”
“Un gioco di ruolo?” fece Mark, era l’unica osservazione intelligente dacché le sue attenzioni erano tutte concentrate nel contatto fisico con Tammy.
“Sì” disse Tim di ritorno dal banco, con tanto di vassoio e ciotola zeppa di nuovi salatini “a ognuno il suo ruolo. A me tocca il sasso, purtroppo”
“Quello dei lavori pesanti” spiegò Ted “mentre io sono la carta”
“Quello arguto” spiegò Tammy adocchiando Ted con la stessa languidezza finora riservata al solo Mark “mentre io sono… le forbici”
Tammy mimò il taglio della maglietta di Mark, alzandola il tanto che bastava per sentire gli addominali scolpiti col dito.
“Insomma” fece Ted alzandosi in piedi e tirandosi i lembi della giacca e lisciandosi i capelli trasandati “io sono il regista”
“Io il cameraman” alzò la mano Tim, col tono svogliato di chi – alla fine – faceva sempre lo stesso ruolo.
“Io l’attrice” disse Tammy avvicinandosi all’orecchio di Mark “e tu, il protagonista. Il physique du rôle c’è tutto”
“Sei davvero un’attrice?” fece Mark esaltandosi.
“Una specie. Non una di quelle che finiscono sugli schermi dei cinema però. Un’attrice un po’ più… privata. Vuoi recitare con me? Puoi essere il protagonista del nostro prossimo film. Teddy è un regista bravissimo sai”
Mark posò per la prima volta gli occhi su Ted con un pizzico d’interesse.
“Sei un protagonista Mark” disse Ted “mi sbaglio?”
Tammy non gli diede il tempo di rispondere, lo stava nuovamente soffocando con la sua lingua, ubriacandolo col sapore del rossetto e la morbidezza del seno premuto contro i pettorali scolpiti di lui.
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