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A mio cugino Ignazio, scappato per sempre.

1984-2021

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Un anno fa ero nel pieno della stesura di questa storia. Era scoppiata la pandemia, e in un giorno di disobbedienza al lockdown, camminavo lungo la strada che fiancheggia il canale. Il rumore di uno scroscio d'acqua aveva attirato la mia attenzione. Una gallinella d'acqua andata a nascondersi in un antro buio: il raccordo di sbocco del fiume vicino, nella campagna più profonda teatro di questa storia. Ricordi e fantasie si sono mischiate dando a quei giorni un senso per raccontare la storia.

In quella stessa campagna, la storia, o almeno una parte di essa, è finita. Mio cugino è morto, a un anno di distanza dalla stesura del racconto, il corpo ritrovato nella sua auto, parcheggiata in una di quelle stradine. "Quelle" stradine di cui ho raccontato. Le stesse che hanno alimentato ricordi e fantasie. Le stesse in cui a volte vado a camminare. Avrei potuto trovare il suo corpo. Ma no, non l'avrei trovato. Vedendo l'auto parcheggiata, non l'avrei saputa riconoscere. Non sapevo nemmeno ne avesse comprata una. Dunque non mi sarei avvicinato, e non l'avrei trovato.

Non ci frequentavamo. Dei brandelli di realtà prestati alla finzione del racconto, era vero che dall'adolescenza le nostre strade si fossero separate. Ci salutavamo da lontano, quando uno riconosceva l'altro. Capitava a volte di non riconoscersi più.

A lui mi ero ispirato per questa storia, a quei periodi d'infanzia condivisi. Ho scritto ascoltando quella musica che era la sua e che, al di là di ricordi sbiaditi, è quel che mi ha lasciato. I suoi Litfiba diventati i miei Litfiba, il suo Marilyn Manson diventato il mio Marilyn Manson.

Le parole dei Litfiba che avevo scelto per cominciare la storia, come una sinistra profezia, ne fanno epilogo.

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peste, peste, e comincia la festa

peste, peste, mosche intorno alla testa

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Ciao cugino.

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