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Stai leggendo: "Una nuova generazione" di Quinto Moro
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Intervista speciale dal Dickey Mallory Late Show – Primo blocco
 
Il corridoio è beige sporco, ornato ai lati da scatoloni e sedie di plastica da quattro soldi. Sulla parete tappezzata di poster d’epoca di vecchie pubblicità, nello spazio d’angolo tra il battiscopa e lo stipite della porta c’è un Pollock di striature di caffè e liquidi di dubbia provenienza. Oltre la porta socchiusa si scorge un’aspirapolvere a bidone, meraviglia tecnologica di un’epoca passata.
In piedi nello spazio tra due sedie di plastica, un ragazzino dall’apparente età di dodici anni se ne sta impalato con l’aria svagata, facendo finta di non notare tutti gli adulti che si voltano a guardarlo mentre passano. Chi va di fretta rallenta, chi va lento accelera il passo per non stare troppo a lungo nel suo raggio d’azione. Alcuni fanno finta di niente, altri non nascondono la soggezione. Le segretarie di produzione, gli attrezzisti, le truccatrici, i tecnici del suono, i manager, hanno tutti in comune quel sussulto mascherato nell’esitazione del primo passo dopo averlo visto.
La signorina Susan, che non avrebbe dovuto lasciarlo solo neanche per un istante, l’ha parcheggiato lì incapace di continuare a stargli vicino. La scusa che ha sussurrato a se stessa è la paura di quel che il ragazzo può fare, anche se la vera ragione di tanta soggezione è un’altra. La bellezza del ragazzo sfida i canoni estetici di ogni cultura da oriente a occidente, sembra assecondarli, sfidarli, incarnarli e poi demolirli. Tutto insieme. I siti scandalistici l’hanno rinominato di recente il baby Adone, capace di far impazzire le ragazzine così come di accendere fantasie impudiche nelle donne adulte. Ha ricevuto promesse di matrimonio da mezzo mondo. Magnati, sultani ed emiri hanno promesso di coprirlo d’oro se un giorno volesse sposare o anche solo ingravidare una o più delle loro figlie e nipoti.
“Danny Boy” riecco la signorina Susan, un po’ più sudaticcia e rilassata di quando Danny l’ha vista dieci minuti prima “stiamo per andare in onda, vuoi ripassare i dettagli?”
Danny recita come se non fosse la prima volta che va in televisione in diretta mondiale: “Applauso, Mr. Mallory saluta il pubblico, applauso, Mr. Mallory fa una breve introduzione e mi annuncia, altro applauso, io supero l’angolo alla fine di questo corridoio e quando quella lampadina lassù diventa verde entro in scena. Il pubblico ammutolisce, entro con passo sicuro, alzo la mano destra evitando che sembri un saluto nazista, la agito un pochino come se fossi perfettamente a mio agio, e vado a sedermi composto alla sinistra di Mr. Mallory, leggermente voltato verso di lui ma non troppo, così che la camera 1 possa inquadrarmi sotto la luce migliore. Aspetto quei due o tre minuti in cui Mr. Mallory resterà senza fiato come tutto il pubblico, fingerò di sentirmi in imbarazzo anch’io, poi mi accorgerò di non avergli stretto la mano e mi allungherò per stringergliela, a quel punto Mr. Mallory si scuoterà un po’ dal suo torpore, esiterà per paura di non esplodere al contatto con le mie dita elettriche, la tensione di tutto lo studio si scioglierà in un applauso di sollievo. Un applauso sincero stavolta, o almeno spero. A quel punto tutti penseranno che sono solo un ragazzino in imbarazzo quanto loro, e la puntata numero millenovecentottantuno del Dickey Mallory Late Show diventerà la diretta più seguita della storia dell’umanità. Se avessimo aspettato la fine del mese avremmo potuto farlo alla puntata numero duemila, ma l’ottantuno è l’anno di nascita di mia madre, di sicuro i siti di fuffa gossippara troveranno il modo di ricamarci sopra comunque.”
Investita dal monologo di Danny, la signorina Susan maschera a fatica una tempesta ormonale. Danny la fissa intensamente, coi suoi occhi grandi, profondi, capaci di catturare la luce in quel modo così particolare che non può essere spiegato. Danny fa la sua smorfia da divo consumato, finché lei non abbassa lo sguardo imbarazzata come una liceale.
“Non preoccuparti Susy” dice lui facendola sciogliere con quell’improvviso eccesso di confidenza “andrà tutto bene”.
L’elettricità, la tensione nello studio filtra oltre le quinte sino al corridoio, appiattendosi come una corrente fredda ai piedi di Danny. Mr. Mallory sembra spiazzato dalla brevità dell’applauso per il ritorno in onda. Il pubblico è impaziente. Luce verde. Danny Boy va in scena. Tutto si svolge come Danny l’ha descritto alla signorina Susan. Il silenzio del pubblico. L’esitazione di Mr. Mallory, per la prima volta in ventisei anni di carriera in imbarazzo davanti a un ospite. Il silenzio del pubblico. La stretta di mano. Un sorrisetto di finto imbarazzo in camera 2, una smorfia di complicità per far sentire al pubblico a casa e agli operatori tesi e sudati alla consolle di regia un po’ di sollievo. Un altro applauso, stavolta lungo e fragoroso, sincero, liberatorio.
“Wow, Danny Boy. Il primo supereroe della storia”
L’applauso cresce, ospite e presentatore si voltano verso il pubblico e scambiano occhiate di sottecchi a turno, in attesa che la tensione si affievolisca.
“Non sono un eroe, ma non posso negare di essere un pochino super”
Risate del pubblico. Altro applauso. Ancora fragoroso. Ancora sincero.
“E sa Mister Mallory?”
“Puoi chiamarmi Dick”
“Oh, non sarebbe molto educato”
Un’altra risata. Danny ammicca al pubblico, lancia un’altra occhiata diretta e penetrante a Mr. Mallory. Il conduttore trattiene una risata nervosa. Messo nel sacco da un ragazzino.
“Dicevo, sa Mister Mallory, le persone con abilità particolari forse hanno sempre fatto parte della nostra storia. Tralasciando la letteratura supereroistica dell’ultimo secolo, ci sono racconti di esseri speciali sin dall’antica Grecia, e addirittura prima in Mesopotamia, per non parlare di streghe, stregoni e santoni in ogni secolo e cultura del mondo.”
“Vuoi dire che i supereroi sono sempre esistiti?”
“Come si usa dire, dietro ogni leggenda c’è un fondo di verità. In ogni caso io non sono certo Superman. Non ancora almeno”
Altre risate. Altri applausi. Mr. Mallory inizia a sciogliersi e sentirsi a suo agio. Non è molto diverso dall’intervistare un attore. Sulla poltrona del Dickey Mallory Late Show si sono sedute decine di egocentrici.
“E dimmi Danny, pensi che lo diventerai?”
“Superman?”
“Già. Pensi che un giorno ti vedremo svolazzare col mantello?”
“No non credo. Non con un mantello”
Risate.
“Ma… tu sei in grado di volare?”
“Beh, ci sto lavorando”
“Sul serio?”
“Certo!”
Altre risate e applauso entusiastico.
“Voglio dire” prosegue Danny “è bene che ogni giovane di questo mondo cerchi di sviluppare e comprendere il più possibile le sue abilità, qualunque esse siano”
“Puoi parlarci meglio dei tuoi poteri? In questi anni si è detto e scritto tanto ma sappiamo ancora così poco di te, dicci qualcosa”
“Non saprei, mi sembra di vedere un certo Colonnello di mia conoscenza tra il pubblico, entrare troppo nei dettagli potrebbe essere una questione di sicurezza nazionale”
Dal pubblico giunge una risata timida, velata di nervosismo.
“Naturalmente” Mr. Mallory esita, sa di non potersi spingere troppo oltre ma deve dare qualcosa al pubblico. Dopotutto sono stati gli stessi militari a proporre quest’intervista, un modo per dire al Paese e al mondo che non c’è niente da temere e niente da nascondere. “Ebbene: tutti sappiamo della tua straordinaria intelligenza e… a proposito, a quanto ammonta il tuo QI adesso? So che all’ultimo test hai superato la fatidica soglia dei trecento punti”
“Trecentododici nel test di Cattel lo scorso anno – che è il test più usato – ma il mese scorso ho superato i trecento nel test di Wechsler. Ci sono diversi modi di misurarla, ma solo alcuni aspetti sono misurabili”
“Però stando a questi dati, stai diventando più intelligente ad ogni anno che passa?”
“Così pare”
L’applauso che segue è molto più timido di quanto Mr. Mallory si aspettasse. La cosa non sorprende Danny Boy.
“Allora parlaci delle tue abilità fisiche, anche quelle sono in crescita nonostante tu stia crescendo molto lentamente”
“Per gli standard di un giovane e sano adolescente sì. Ho l’aspetto di un dodicenne ma ho compiuto sedici anni la scorsa settimana”
“Auguri Danny Boy”
“Grazie Dick”
Applausi.
“Non è stato irrispettoso alla fine”
Risate.
“Ne sei sicuro?”
Risate più forti. Applauso d’approvazione.
“Insomma, hai la super-forza”
“Posso sollevare fino a venticinque volte il mio peso”
“Venticinque volte?”
“Non è così impressionante Dick, le formiche sollevano sino a cinquanta volte il proprio peso. Ho delle ossa molto robuste, il mio fisico è più resistente della media ma non è ancora giunto a maturazione. Fisicamente impiego circa due anni per crescere quanto un ragazzo normale cresce in un anno.”
“Ed è così anche per tutti i tuoi simili?”
“Sì, abbiamo osservato un rallentamento della crescita anche nei miei… simili come li chiami tu, anche se sarebbe come dire che siamo una specie a parte e suona antipatico. Siamo pur sempre esseri umani, sia io che gli altri super. Cresciamo lentamente ma le nostre cellule si rafforzano e stabilizzano maggiormente durante il processo, mentre la crescita psicologica è esponenziale. Avrò il fisico di un ventenne entro i prossimi dieci anni, quando in realtà ne avrò una trentina, sempre che il mio ritmo di crescita rimanga costante.”
“Immagino tu e i tuoi compagni facciate molti esami?”
“Di nuovi e più creativi ogni settimana”
“Non ti preoccupa diventare una cavia da laboratorio? Molti attivisti hanno sollevato la questione, esistono gruppi che sostengono che tu e gli altri quattro super siate in qualche modo prigionieri”
“Oh, esistono gruppi di attivisti su ogni sciocchezza. La gente non deve preoccuparsi per me né per gli altri ragazzi, sono il dottore più intelligente e qualificato del team che studia il mio corpo e la mia mente, questo mi dà una certa sicurezza e una certa libertà”
“E per quanto riguarda gli altri tuoi… posso chiamarli compagni?”
“Oddio no, girano abbastanza teorie del complotto, ci mancano solo quelle che ci additino come un branco di comunisti”
Risata e applauso leggero.
“Dovete trovarvi un nome al più presto”
“Stiamo vagliando delle proposte. Justice League era già preso. Mi piaceva il nome che ci diedero dopo l’incidente dell’autobus, i Coraggiosi Cinque, anche se da allora siamo stati più impegnati a studiare noi stessi che a salvare il mondo”
“E da allora siete diventati cinquanta. L’idea che esista un supereroe, per di così giovane, era già abbastanza incredibile. Sapere che siete diventati una legione in uno schiocco di dita è stato…”
Benché fuori inquadratura, lo sguardo di Danny Boy si è percepito nel mutare di postura ed espressione di Mr. Mallory, come uno schiaffo in pieno volto. La foga del momento, la sete dello scoop, l’euforia della grande rivelazione si sono impadroniti del conduttore facendogli perdere ogni prudenza. In fondo alla sala, nascosta dietro il pannello di cartongesso delle quinte, la Signorina Susan si sbraccia per ammorbidire gli entusiasmi di Mr. Mallory. L’uomo se ne rende conto con un momento di ritardo, quasi cade in un silenzio imbarazzante e riesce a sterzare il discorso all’ultimo.
“Ne parleremo meglio più avanti” salvato in calcio d’angolo “ma quello che voglio chiederti è se voi vi sentite dei supereroi”
Danny Boy esista prima di rispondere, come ad accertarsi che il conduttore abbia capito che non deve oltrepassare il limite, non così presto, non in questo modo. Il ragazzo si dà un tono, raddrizza la schiena e distoglie volontariamente lo sguardo da Mr. Mallory per sgranare gli occhioni da cerbiatto verso il pubblico.
“La gente parla di noi come se lo fossimo. Cerchiamo di renderci utili e avere al contempo una vita normale, cercando di convivere con la nostra condizione particolare. Noi, voglio dire io e i miei compagni, siamo d’accordo sul fatto che definirci super è piuttosto antipatico, dà di noi un’idea distorta uscita dal mondo dei fumetti e del cinema, per non parlare dell’idea nietzschiana che è ancora peggio”
“E come rispondi a chi si sente preoccupato o minacciato dalla proliferazione di voi super-ragazzi?”
Danny Boy torna a fissare Mr. Mallory, mascherando la sua irritazione. Un’occhiata fugace al colonnello nascosto tra il pubblico – ce n’è davvero uno, in borghese, ed anche un luogotenente e un maresciallo capo. Danny Boy riesce a vederli nonostante gli spalti in ombra e le luci della ribalta puntate dritte sul suo viso. Loro non si scompongono, anche se il colonnello è certamente sulle spine. Anche i militari in fondo si sono fatti la stessa domanda, benché siano certamente più felici di avere tutta una schiera di super nel proprio Paese, piuttosto che averne uno solo. Solo che Danny Boy non ha risposte per loro, né per Mr. Mallory né per il pubblico a casa.
“Dick, ho una domanda migliore: come dovremmo giudicare un mondo preoccupato dalla presenza di tanti giovani super intelligenti?”
Silenzio e gelo nel pubblico.
“Tranquillo Dick, non voglio evitare la domanda. Non c’è nessuna proliferazione. Prima c’ero soltanto io, ma il mondo è venuto a sapere della mia esistenza solo quando ci fu l’incidente dell’autobus. Io avevo acquisito le mie capacità già anni addietro. Nessuno, a parte me e la mia famiglia ha saputo del primo incidente. Sono cresciuto tenendo nascosti i miei talenti e cercando di fare la cosa giusta, come può farla un bambino delle elementari, fino al giorno in cui, cercando di salvare i miei compagni di scuola da un incidente stradale, trasferii una parte delle mie capacità su di loro.”
“Non c’è mai stata una versione ufficiale dell’accaduto”
“C’è stata ma alla gente non è piaciuta”
“Vuoi raccontarci la tua versione?”
“Certo, anche se questo non placherà le discussioni dei complottisti. Era una gita scolastica, il nostro autista perse il controllo dell’autobus, andammo a sbattere contro il guardrail e ci ribaltammo a metà di una curva, sul ciglio di un burrone. Fummo sbalzati dai nostri posti mentre l’autobus rotolava. Ricordo i corpi ammassati, zaini, libri, quaderni e matite che si rovesciavano intorno a noi, insieme a noi, come nella centrifuga di una lavatrice. Ricordo le urla insieme allo sbattere delle lamiere e il suono distinto di ossa che si rompevano dentro i corpi dei miei compagni. Per i miei sensi ipersviluppati, ogni secondo era lungo quanto un minuto, potevo vedere tutto quel che mi stava accadendo ed ero impotente. Puoi immaginare quale disperazione si possa provare nell’avere capacità superiori a chiunque altro e non poter fare niente per fermare il disastro mentre si sta compiendo? Immagina di precipitare dal cielo senza paracadute, sapendo che non puoi fare niente e vedere la terra che si fa sempre più grande, ogni metro che attraversi ti avvicina alla tragedia. La sola differenza è che io sentivo – pur non essendone sicuro – di poter sopravvivere, ma i miei compagni? Ho visto i loro corpi piegarsi in modo innaturale, sbalzati sul tettuccio dell’autobus e ricadere contro i sedili, ho visto gambe e schiene rompersi, ho sentito ogni urlo e preghiera, ho sentito gli odori di chi perdeva il controllo dell’intestino e della vescica, ho visto il terrore. Non potevo fermare la forza centrifuga dell’autobus, non mentre ci stavo dentro. Quando finalmente il rumore delle lamiere e dei vetri e delle ossa infrante cessò, l’autobus già si riempiva rapidamente di fumo: aveva preso fuoco. Ero sottosopra, incastrato fra i sedili, sommerso dai corpi. Ero abbastanza forte da liberarmi certo, ma avevo studiato in modo approfondito l’anatomia umana e sapevo che ogni mio gesto in quelle condizioni avrebbe potuto causare altri traumi ai corpi ammassati sopra di me. Perciò ero spaventato come tutti gli altri, ma di una paura diversa. Quando ho visto il fuoco camminare verso di me ho pensato che sarei morto con tutti gli altri, così mi sono stretto a loro, non so se per provare a liberarmi o soltanto per controllare la paura. E’ la reazione più umana del mondo, stringersi a qualcuno quando si ha paura, e nonostante fosse stato il momento più terribile della mia vita ero rinfrancato dall’idea d’essere ancora umano, benché fossi diverso. Volevo salvarmi e volevo salvare gli altri. Ricordo un calore e una grande chiarezza di pensiero, come se la mia mente avesse diradato da sola il fumo e spento le fiamme. Naturalmente non era così, l’autobus bruciava molto velocemente e il fumo c’era ancora, anzi era più fitto che mai, ma non ne avevo più paura. Ero lucido, e prima che me ne rendessi conto ero circondato dai miei compagni, quelli che stringevo, nel momento di massimo sconforto, e ad uno sguardo ho capito che erano diventati esattamente come me, com’ero diventato io quel giorno a sei anni in quel cratere dietro la casa dei miei genitori. Ho rivisto la luce abbagliante di quel giorno, l’ho sentita in me, l’ho percepita nei miei compagni. Ci siamo mossi all’unisono, con calma, come una sola mente e un solo corpo, estraendo quanti più potevamo dalle lamiere. Come sapete, non potemmo salvare tutti. Dei sessantasette passeggeri dell’autobus, riuscimmo a salvarne soltanto ventuno, oltre a noi cinque. I giornali ci chiamarono i Coraggiosi Cinque, conoscete gli altri quattro: Sara, Sam, Igor e Julia.”
Il pubblico in studio, dopo aver taciuto al racconto drammatico di Danny Boy, s’era sciolto in un abbraccio al nome dei quattro ragazzi. Danny Boy tuttavia non li assecondò continuando nel racconto perché il flusso di coscienza non si interrompesse, e l’applauso si zittì.
“So che ci stanno guardando perciò chiedo scusa per avergli fatto rivivere quel giorno, così come a tutte le famiglie delle vittime e dei sopravvissuti. È vero, la polizia e il ministero della difesa sono state a lungo reticenti sull’episodio e questa intervista è anche un modo per dare risposte al pubblico, ma la gente spesso dimentica che eravamo tutti dei bambini, ed anche se io già all’epoca ragionavo come un adulto, i miei compagni – sia quelli super che tutti gli altri – avevano il bisogno e il diritto di superare quel trauma.”
Ora che avrebbe potuto applaudire, il pubblico taceva, sovrastato dall’onda emotiva del racconto. Dietro l’espressione contrita, Mr. Mallory era entusiasta, sapeva di aver appena portato a casa il miglior momento non solo della sua carriera e dello show, ma dell’intero network, dell’intera dannata storia delle televisione. Danny Boy il primo super-ragazzo aveva raccontato la nascita dei Coraggiosi Cinque. Non provava una tale botta di adrenalina dai giorni selvaggi della sua prima dipendenza da cocaina. Il pubblico, alla fine, aveva applaudito e pianto.
“E’ stato solo allora che hai deciso di uscire allo scoperto, di rivelare al mondo le tue capacità, quando non eri più solo?”
“Esatto”
“Ma oggi sappiamo che nel corso degli anni hai usato quelle capacità per aiutare la popolazione della tua città”
“Mi hanno attribuito molti eventi miracolosi, ma ho avuto a che fare con una minima parte di essi. Finché la faccenda dei Coraggiosi Cinque non ha fatto il giro del Paese, nessuno aveva fatto caso ai miei interventi. Facevo ancora la vita di un ragazzo normale, andavo a scuola e avevo liberi alcuni pomeriggi e qualche volta uscivo la notte”
Mr. Mallory avrebbe voluto abbracciare quel figlietto di puttana. Dopo il momento drammatico e strappalacrime serviva un alleggerimento e Danny Boy glielo serviva su un piatto d’argento, come se gliel’avesse letto nel pensiero, come conoscesse le dinamiche dello show bene quanto lui.
“Uscivi la notte Danny?”
“Sì, di pattuglia, come un vero supereroe, ma di solito erano solo delle passeggiate intorno al quartiere e vivendo in un posto tranquillo non ho avuto occasione di fare chissà quali imprese”
“Vuoi raccontarci la prima volta che hai fatto qualcosa di speciale, che hai salvato qualcuno o hai sventato un crimine?”
“La prima in assoluto? Una piccolezza, ho sventato un furto d’auto”
“Fantastico! Racconta”
“Oh è stato facile. Il sole era appena tramontato e ho visto un tizio che armeggiava con lo sportello di un’auto. Mi sono guardato intorno e non c’era nessun altro, così mi sono detto: ci siamo.”
“Come l’hai affrontato?”
“Gli ho gridato hey tu! Lui mi ha visto, si è spaventato ed è fuggito a gambe levate. A volte basta un piccolo gesto per diventare un eroe”
Risata leggera e applauso di approvazione. Un successo. Un’apoteosi. Mr. Mallory chiama la pubblicità per la fine del primo blocco, estasiato.
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