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Epilogo - Danny Boy incontra la Signora Floyd
Il materasso sotto la schiena della Signora Floyd ha la consistenza d’un tappeto di palle da tennis, un’illusione di morbidezza unita al fastidio di mille bozzi conficcati lungo tutta la schiena, contro le natiche secche, le reni smagrite dall’inedia e le cosce appiattite dalla pressione delle cinghie. Lo stordimento da bromazepam fa oscillare il corpo della donna tra l’assenza di peso e l’attrazione gravitazionale impressa dalle lenzuola.
La caposala Ravozniča ha preparato la Signora Floyd con cura. Dopo averla spogliata le ha rimboccato il lenzuolo per fasciarne il corpo come una mummia, fin sotto il collo, curandosi di lasciare uno sbuffo di stoffa perché non dia un senso di soffocamento. Dopo averle stretto le cinghie a polsi, caviglie e bacino, la caposala ha steso un secondo lenzuolo per donarle un aspetto più pudico e nascondere il fisico smagrito della Signora Floyd. Il volto della paziente è stato infine trattato con il fondotinta, un blush color pesca sulle guance e un velo di rossetto per togliere pallore alle labbra.
La voce per l’arrivo di Danny Boy si è sparsa per i corridoi del Centro per i Disturbi Cognitivi e le Demenze. Tutti gli ospiti sono stati rinchiusi nelle rispettive stanze come da protocollo. Chi tra loro non ha dimenticato le voci dopo lo scatto del chiavistello, pur senza un’idea chiara di cosa sia Danny Boy lo aspetta come si aspetta un nipotino che non viene mai a trovarti, un figlio morto e resuscitato, un miracolo a prova dell’esistenza di Dio. C’è chi attende con la faccia schiacciata contro la finestrella quadrata della porta e chi col naso pigiato alla finestra.
L’arrivo di Danny Boy e la sua scorta è preceduto da sei pattuglie di polizia. Agli sbirri è stato vietato di immischiarsi ma qualcuno fa ugualmente valere il potere della divisa ficcanasando in giro fino all’avvistamento del convoglio dell’esercito. Quando i tre AMV imboccano il viale d’ingresso gli sbirri s’impettiscono e fanno schierare il personale del CDCD in riga, con la caposala Ravozniča in testa.
La camionetta seconda delle tre camionette si ferma davanti all’ingresso, scavalcando il marciapiede e lasciando pesanti solchi sul prato all’inglese antistante il loggiato. Quando Danny Boy scende il cielo sembra aprirsi e proiettare su di lui un fascio di luce, ma è solo un’illusione. Tutti spariscono nelle loro divise, ridotti a tappezzeria sullo sfondo. Nessuno apre bocca, tranne Danny Boy che si fa incontro alla caposala Ravozniča accennando un sorriso e una stretta di mano. Conferisce solo con lei, non gli importa di sentire la versione dell’infermiere Schneider che dal canto suo era impaziente di poterli parlare e sperava di strappare al baby eroe una foto o un autografo.
Danny Boy ascolta le parole della caposala con la cortesia di chi non ha bisogno di sentirle e si fa accompagnare nella camera dove sua madre è legata e sedata, ma sveglia. Danny Boy si avvicina al torace della Signora Floyd, ausculta il battito lento, il respiro fioco. Posa due dita sul plesso solare, preme sullo sterno con la mano sinistra e posa il palmo destro a metà tra la guancia e la tempia della donna.
La Signora Floyd riemerge dal torpore del bromazepam. Le pupille mettono a fuoco i contorni della stanza. Recupera il senso dell’olfatto, punto dall’odore dei disinfettanti ancora fresco nella stanza tirata a lucido di fresco. Vede la luce filtrare dalle tende sopra il letto, i contorni del soffitto, la plafoniera punteggiata all’interno dai moscerini morti. Quando vede il volto di Danny Boy il respiro le si spezza nel petto, gli occhi scattano in un apice di disgusto e terrore. Vorrebbe urlare ma sarebbe inutile. Le cinghie a polsi e caviglie le ricordano che è in trappola. Non c’è niente che possa fare.
“Ciao mamma”
La Signora Floyd tiene gli occhi fissi sul ragazzo come pistole cariche, sa di non poter fare molto altro contro di lui. Non dargli la soddisfazione di mostrarsi impaurita, questa è l’unica soddisfazione che può darsi, e mantenere quel poco di dignità che la voce le consente. “Non chiamarmi così”
“Preferisci che ti chiami Signora Floyd?”
“Cosa sei venuto a fare?”
“Mi hanno detto che c’è stata un po’ di confusione l’altra notte. Hai aggredito un infermiere dopo avermi visto alla televisione.”
“Il posto perfetto per te. Le telecamere non possono guardarti attraverso e puoi propinare al mondo le tue stronzate”
Danny Boy siede sul fianco del letto, lo sguardo paziente.
“Non guardarmi così”
“Così come?”
“Non insultarmi, sei abbastanza intelligente da capirlo”
“Non devi adularmi”
“Oh ma a te piace. Dietro quella falsa modesta non riesci a nascondere la tua smorfietta compiaciuta”
“E’ quel che la gente si aspetta da me, che sia rassicurante, empatico. Cerco d’essere quel che vogliono che sia. C’è già chi ha fatto di me il suo profeta, il suo messia, altri mi temono e odiano perché non riescono ad accettarmi, come te. Sapessi quanto è frustrante tutto questo. Le persone pigre vogliono un salvatore, un illuminato in cui specchiarsi e a cui affidare tutto il proprio mondo, invece di provare a migliorarlo con le proprie mani. E poi ci sono quelli terrorizzati dalla novità, da ciò che non comprendono e non vogliono accettare perché costa fatica. Ma entrambi, anche quelli che mi venerano, sono spaventati da me. E lo sono già abbastanza senza che tu faccia come hai fatto l’altra sera, facendo crescere più pettegolezzi di quanti non ce ne siano già. Non è stato molto carino quel che hai fatto, né ciò che hai detto su di me”
“Sei venuto ad autocommiserarti, a cercare la mia pietà o a punirmi?”
“Non essere melodrammatica. Tu non devi aver paura di me”
“Non ne ho” la Signora Floyd inghiotte amaro. Guardare il volto di Danny è una tortura insostenibile, le annoda le budella e le ritorce verso l’alto come un nodo scorsoio su fino in gola, con un retrogusto d’acidi gastrici e bile. “Non ne ho più. Fa’ quel che sei venuto a fare”
“Non riesci a credere che sia venuto solo ad accertarmi che stessi bene?”
“Che razza di schifoso bastardo. Ti è bastato un tocco per farmi uscire dal coma di… qualunque schifezza mi abbiano dato stavolta. Se io fossi la povera esaurita che presenti al mondo, potresti persino avere la capacità di guarirmi, magari persino di plagiarmi e farmi uscire di qui come un altro tuo servo scodinzolante. Perché non lo fai? O perché non mi uccidi, come hai ucciso mio figlio?”
“Io sono tuo figlio”
“Tsk! Non puoi o non vuoi farlo. Non puoi convincermi con le buone, e non puoi o non vuoi cancellarmi la memoria. Vorresti che io credessi davvero alle stronzate che racconti al mondo, come se non sapessi che hai ucciso mio figlio. Tu, qualunque cosa schifosa tu sia, l’hai disintegrato e non hai nemmeno avuto la decenza di farlo come si deve. Ho trovato il sangue e i brandelli di pelle e osso impastati nel fango. Tu, lurido assassino, l’hai disintegrato e ne hai preso il posto. E adesso ti stai moltiplicando come una piaga.”
Il dolore spezza il fiato della donna. Stringe i denti, nel tentativo vano di trattenere un gemito di disperazione per il figlio perduto. Gli occhi della Signora Floyd si riempiono di lacrime troppo grandi perché le palpebre possano fermarle. Rivoli tagliano le tempie giù fino alle orecchie. La mano di Danny Boy si posa sulla scia salata, il palmo caldo fa la sua magia calmando i nervi della donna, restituendo pace al respiro e agli occhi. Le palpebre cascano a mezzo sguardo, le labbra abbandonano l’ultimo sussurro di lucidità rimasto sulla lingua.
“Si accorgeranno di cosa sei, prima o poi”
Danny Boy si china a baciarle la tempia e sussurra un saluto.
“Quando sarà troppo tardi. Nel frattempo, chi ti crederà mai?”
Si alza con sguardo indulgente, gli occhi socchiusi a trattenere la luce imbrigliata nel fondo.
Fine.