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Stai leggendo: "Ralph - Supermaxicane" di Quinto Moro

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Epilogo: Vendetta

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L’alba. Ralph passeggiava solitario, battendo il recinto.  Il padrone era sempre puntuale. Prima che il sole si fosse staccato del tutto dall’orizzonte avrebbe percorso la sterrata col suo furgoncino. Il piano era semplice: Zuzzo e Zizzo dovevano stare ciascuno su una scia di strada battuta, così da impedire al mezzo di aggirarli. Non si sarebbero spostati allo strombazzare del clacson né agli insulti del padrone. L’avrebbero costretto a scendere e a quel punto Ralph, Diana e Black sarebbero saltati addosso all’uomo. Nessuno doveva abbaiare. Acquattati tra i cespugli a bordo strada, sarebbero scattati non appena il corpo del padrone fosse stato abbastanza lontano dallo sportello. C’erano due possibilità: che l’uomo andasse ad urlare contro i due segugi davanti al furgone, esponendosi del tutto all’attacco – a quel punto sarebbero stati in cinque – o che puntasse al retro del furgone dove prendere qualche bastone – una pala, o il maledetto fucile – per scacciarli. La seconda era la più rischiosa, il tempismo sarebbe stato fondamentale. Uno dei tre – Black s’era deciso – doveva buttarsi contro lo sportello per chiudere fuori il padrone e impedirgli di tornare dentro. C’era sempre il rischio che il bastardo andasse a rifugiarsi nel cassone ma da là era più facile per i cani balzare dentro. Gli sportelli erano sgangherati e sventolavano all’infuori come ali, e soprattutto non sarebbe ripartito facilmente.

Nell’assalto al padrone, Black e Ralph dovevano puntare ai polpacci e alle braccia. Dovevano riuscire a trattenerlo per una gamba, magari farlo cedere ed abbassare un poco, perdere il vantaggio della statura eretta. Il morso alla giugulare spettava a Diana, su questo era stata categorica. Ralph ne fu sorpreso, immaginava spettasse a lui ma poteva capirla e non ebbe da obiettare. Ricordava la precisione chirurgica con cui uccideva ratti e conigli, uccisioni pulite e precise, il foro di un dente sul collo e l’altro sul cranio, senza troppo rumore né spargimento di sangue. E poi il piano era suo, Bertuccio era suo fratellastro oltre che il suo amante, nessuno più di lei aveva diritto alla vendetta. La determinazione di Diana era ferrea, aveva convinto gli altri a seguirla senza troppo chiasso. Black era stato ben felice di avere un ruolo da gregario, non avrebbe dato problemi.

Ralph immaginò cosa sarebbe stato di quel posto senza il padrone. Aveva vissuto abbastanza a lungo tra gli umani da comprenderne le gerarchie di branco, e non c’era un altro che a breve potesse prendere il controllo della fattoria. C’era l’ottima probabilità che il posto finisse abbandonato entro l’inverno, diventando un altro dei tanti fantasmi di lamiere e cemento che popolavano la campagna. Ralph si chiese com’erano andate a morire le altre fattorie. Se alla morte dei padroni nessuno ne aveva preso il posto, e fantasticò sul come erano morti, se di vecchiaia, uccisi dal loro stesso bestiame o dai loro cani. La campagna selvaggia si stava riprendendo i piccoli regni dell’uomo e forse quel che stava per succedere era accaduto altre volte, ad altri padroni.

Il pensiero gli diede fiducia. Sistemato il padrone, Ralph avrebbe chiesto ai sette bastardi di unirsi al vecchio branco. Sarebbe bastato trovare qualche altra femmina, ché undici maschi con cui giocarsi le attenzioni di Diana non erano una gran prospettiva, ma con un tal branco e un posto accogliente potevano convincerne alcune, magari liberandole dalle fattorie ancora attive. Il cibo non sarebbe stato un problema. Per i primi tempi avrebbero dato fondo alle scorte di crocchette, si potevano cacciare gli uccelli che scendevano a beccare il mangime ai piedi dei silos, i piccioni e le tortore che s’avventavano sulle balle di paglia per costruire i loro nidi. Un branco numeroso sarebbe stato imbattibile nella caccia a lepri e conigli, magari si poteva puntare persino ai cinghiali selvatici, o all’assalto in forze verso le fattorie e i pollai più piccoli.

Il sole stava sorgendo su un nuovo futuro per Ralph e per tutti i suoi amici. Un futuro fresco come la brezza e caldo come i primi raggi dell’alba. Un futuro che si avvicinava borbottando col suono gorgogliante d’un motore diesel.

Ralph scattò verso il cancello, percorse la strada e vide Zuzzo e Zizzo ben piazzati ai loro posti. Scorse la testa di Diana nell’erba alta e lì si tuffò. Sentì il fruscio e il puzzo di Black poco dietro di sé.

“Pronti?”

Lo sguardo di Diana bastò come risposta. Il furgoncino era ancora lontano ma il rumore cresceva. Più vicino. Dovevano stare calmi. Accertarsi che fosse davvero il padrone e non qualche operaio. C’era sempre il rischio che il padrone fosse in compagnia e in quel caso il piano andava rimandato di un giorno. Ma Ralph si sentiva fortunato. Il rumore era quello giusto, più vicino, sempre più vicino. Il cigolio degli ammortizzatori sui fossi, il rumore croccante degli pneumatici sui sassolini sfregati contro il terriccio secco. L’odore dell’erba umida del mattino, quel buon odore di giorno nuovo gonfio di promesse. Il cuore di Ralph si fermò e quasi gli scappò un latrato quando vide il muso del furgone. Era diverso dal solito, il rumore l’aveva ingannato. Si volse a guardare Diana, immobile come una sfinge.

“L’ha cambiato il mese scorso. Stesso motore. Stesso rumore. Non perdere la calma e tieni giù la testa”

Ralph fece guizzare gli occhi dal furgone a Diana, da Diana al furgone. La calma di lei lo convinse.

“Avanti” ringhiò Ralph.

“La coscia” bisbigliò Black.

“La giugulare” sibilò Diana.

Il motore perse spinta. Il furgoncino rallentava. Zuzzo e Zizzo erano là in mezzo e non si muovevano. Il clacson fece drizzare i peli sulla schiena del trio in agguato. Nelle orecchie di Ralph il ronzio del finestrino abbassato era forte quanto il gorgoglio del motore. La voce era quella del padrone. Si poteva distinguerne la testa, il resto del corpo ancora sicuro dentro l’abitacolo. Ralph sentì le zampe scuoterlo, mosso da una spinta interiore che controllò a fatica. Con un balzo preciso poteva infilare la testa attraverso il finestrino e prendersi tutta la gloria. Il padrone si stava sporgendo in fuori. Poteva quasi sentire le pulsazioni del cuore dell’uomo, dieci volte più lente delle sue. Il clac dello sportello procurò a Ralph un nuovo moto d’impazienza. I peli lungo la schiena erano ormai aculei di porcospino. Il primo piede, avvolto nello stivale di gomma infangata era già a terra. Dannati stivali, l’avrebbero protetto da un morso al polpaccio, ma non li avrebbe fermati.

Il padrone era scivolato via dal sedile ma si proteggeva ancora dietro lo sportello, l’altra gamba ancora nell’abitacolo. Urlava con più foga. Era il momento di Zuzzo e Zizzo, il più difficile, se si scoraggiavano e scansavano ora il bastardo tornava a sedersi e il piano falliva. Perché non aggredirlo nel piazzale? Il pensiero colse Ralph alla sprovvista. Era solo. Non c’era altre voci. Bastava aspettare che arrivasse e parcheggiasse come al solito. Ma il piano era buono. Nel piazzale l’uomo sarebbe fuggito a gambe levate, arrampicarsi o nascondersi in cento posti, afferrare uno dei mille attrezzi affilati e pungenti che spuntavano da ogni anfratto, appesi ad ogni parete. La strada invece era stretta e accidentata. C’erano recinzioni e fossi, filo spinato e fango. La sterrata inoltre aveva due sole direzioni, l’uomo non si sarebbe buttato nei campi, e se l’avesse fatto l’avrebbero raggiunto in un lampo. Era quello il momento giusto. Il posto giusto. Il piano di Diana era perfetto.

Il padrone urlava furioso. Zuzzo e Zizzo erano irremovibili. Eccolo, finalmente, il secondo piede dell’uomo toccare terra. La mano accarezzare l’esterno dello sportello, il corpo scivolare in fuori. Eccolo il padrone, in tutta la sua interezza. Lo sportello. L’abitacolo ad offrire ancora un sicuro rifugio, poi il tonfo! Il meraviglioso, sublime scatto di rabbia e lo sportello chiuso. Il corpo dell’uomo esposto. Le mani nude. Niente bastoni, niente fucili, un bersaglio facile. Prima le gambe, poi la giugulare.

La tensione nei muscoli di Ralph esplose. Non era riuscito a muoversi una morsa d’acciaio l’aveva trattenuto. I denti di Black erano affondati nella sua coscia. Torse il collo per difendersi ma era immobilizzato. Come aveva detto Diana: Black la coscia, lei la giugulare.

Ralph sentì il gorgoglio del sangue soffocare il guaito attraverso la gola bucata, appena sopra il lembo del collare. Ad impedirgli di reagire fu più la sorpresa del dolore. Sentì la carne lacerarsi mentre Diana tirava da un lato mentre Black tirava dall’altro. La testa di Ralph si torse in maniera innaturale e vide il cielo e poi la terra. Ralph sentì il naso sfregare sull’erba, le spine e la nuda terra mentre Diana lo trascinava per il collo, fuori dall’erba, giù sino ai piedi del padrone.

Ralph sentì la brezza fresca sulla gola nuda e i caldi raggi dell’alba sul ventre che pompava rossi respiri in fuori e in dentro, con lo stesso suono gorgogliante d’un motore diesel.

Come voleva Diana, Bertuccio era stato vendicato, e quel padrone che Ralph aveva sperato di uccidere accompagnava attonito i suoi ultimi respiri, carezzandolo e massaggiandolo sul petto come quando era cucciolo. Con l’altra mano, il padrone carezzava Diana sulla collottola.

C’era ancora un po’ di vita nel corpo di Ralph mentre si sentiva sollevare a braccia, la testa all’indietro, aperta dal mento in giù come quella di Esmeralda l’ultima volta che l’aveva vista. Il padrone lo seppellì in coda alle fosse dei cani, accanto a Bertuccio. Poi l’uomo diede da mangiare ai cani. Diana ebbe una ciotola tutta per sé.

 

Qualche giorno dopo, un basenji bianco e caffellatte s’affacciò al cancello della fattoria, male accolto da due segugi latranti. Diana si fece avanti con passo fermo. Non lasciò nemmeno parlare il basenji. Avvicinò il muso al suo, lo torse un poco perché potesse annusare la sporcizia color ruggine sul collo di lei.

Pedro indietreggiò cauto mentre i cani maschi abbaiavano, seduti alle spalle della femmina ritta sulle zampe. Tornato dai compagni, Pedro disse che Ralph era tornato dal suo padrone e non l’avrebbero visto mai più.

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Fine.

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