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Stai leggendo: "Ralph - Supermaxicane" di Quinto Moro

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6. Ritorno a casa

 

Gli odori erano là dove li aveva lasciati, nella corsa a perdifiato lungo la strada sterrata e i campi di granturco. Le giornate tra i randagi erano sembrate a Ralph un’intera piccola vita, ma l’inganno e la brevità del tempo era scritto tutto nella nitidezza degli odori di casa, ancora così forti e freschi nella mente e nel naso. Riconobbe subito l’odore del piscio di Black, che non aveva perso il vizio di marcare il territorio a casaccio, zigzagando fra i cespugli di qua e di là del recinto principale. L’odore della porcilaia ballava ancora nella brezza, un odore di terriccio e paglia, di merda secca che sapeva di passato. Non c’erano nuovi maiali a grufolare grugnendo, gli unici versi scendevano dai tralicci e i tetti dei silos orlati da stormi di cornacchie. In lontananza, il borbottio del trattore e della trebbiatrice.

Ralph fece lunghi giri prima di decidersi, tracciando cerchi concentrici intervallati da mille soste per sniffare e ascoltare. Il vecchio branco era là da qualche parte, silente e ozioso sotto il sole. Ralph zampettò circospetto, il muso abbassato e lo sguardo attento. Arrestò il passo al centro del piazzale, tra le buche nell’acciottolato e le scie di pneumatici ancora fresche. Un cane gli venne incontro. Ralph era sopravento ma quel pelo brutto e frastagliato, unito al passo strascicato lasciavano pochi dubbi: era Diana.

“Perché sei tornato?”

Ralph chinò il muso sniffando il terriccio sotto di sé. Sapeva di fieno, d’orzo, di stallatico misto a pneumatici e catrame. Un vago sentore di cemento. Di mangime per polli. Farina di mais e crusca. Tracce di cacca di gallina e piscio di cane – sempre Black.

“Non so” sbuffò Ralph.

Diana fece uno scatto impercettibile, le zampe anteriori irrigidite al suolo, le spalle rigide e il pelo ritto sulla schiena. “Stronzate.”

Ralph avrebbe voluto disprezzare Diana, come ogni volta in cui l’aveva vista ingroppata da Bertuccio, ma non riusciva a sostenere quello sguardo. Ralph parve rimpicciolirsi, il muso a respirare la polvere tra le zampe mentre un ammasso di pelo e piscio galoppava verso di loro: Black. E Black caricò come un treno investendo Ralph con tutta la forza che aveva, travolgendolo e tirandolo dentro ad una rissa brutale. Ralph rotolò, drizzandosi sulle zampe posteriori per schiaffeggiare la faccia bianconera di Black come avrebbe fatto un gatto, senza la maestria nelle unghiate agli occhi tipiche dei felini.

Black era furioso, fumante e puzzolente. Latrava insulti e bestemmiava al Dio Cane nell’alto dei cieli. Zuzzo e Zizzo, i due segugi meticci, giunsero di gran carriera per unirsi alla zuffa. Diana non fece il suo solito ululato di disapprovazione, non cercò di chiamare il padrone. Diana rimase ad osservare, il pelo ritto sulla schiena e i denti scoperti senza il fiato d’un ringhio.

Coi denti di Zizzo affondati nello stinco, Ralph rotolò su se stesso, scommettendo su cosa si sarebbe rotto prima, se la sua gamba o i denti dell’altro. Zuzzo gli venne ad addentare il collo e Ralph ebbe un déjà-vu di brutalità dolce, di leggerezza mentre sua madre – di cui non ricordava nemmeno più l’odore – lo sollevava da terra per allontanarlo da qualche guaio coi denti stretti sulla collottola.

Vigliacco com’era, Black si sottrasse subito alla zuffa accontentandosi di aizzare i segugi. L’assenza di Bertuccio non aveva fatto di lui un vero maschio alfa. Ralph doveva comunque tener conto della sua presenza, del suo corpo a far da argine alla stretta arena che s’era creata tra Black e Diana. Che quei due se la intendessero? Il pensiero fece infuriare Ralph, i cui pensieri non erano mai stati così densi e focosi nell’istante di una rissa. La mascella andava per conto suo, le zampe posteriori ancheggiavano indietro a spazzolare lo spiazzo come un’impastatrice di muscoli e pelo. Gli scarsi pasti del breve periodo da randagio e le lunghe passeggiate avevano tornito i suoi muscoli e reso più duri i movimenti. La sua stazza restava superiore a quella dei segugi. Stava vincendo, e mentre torceva il corpo per avvinghiarsi con le zampe ai testicoli di Zuzzo, Ralph s’immaginò forte e vigoroso come Bertuccio.

Un’eroica fuga. Racconti d’avventure tra i campi. L’esperienza di un altro branco. Ralph sarebbe stato un buon capobranco. Avrebbe reso onore a Bertuccio prendendone il posto. Lo ammise con se stesso per la prima volta mentre si rotolava e combatteva con rinnovata foga. Poteva essere lui il maschio alfa. Quel desiderio gli era stato strappato all’origine, crescendo nella bambagia dell’appartamento di città, tra le coccole della moglie e delle figlie del padrone, nutrito con gli avanzi dei pranzi e delle cene cucinate in forno e padella i cui aromi si spargevano per tutta la casa seducendo i nasi d’uomini e bestie in tutto il quartiere. Era cresciuto sano e forte, più di quanto l’ingombrante figura di Bertuccio gli avesse mai permesso di comprendere. Adesso era pronto.

Ralph guardò a quell’immagine di se stesso come dall’esterno. Si vide azzannare la collottola e le orecchie di Zizzo, strapparne una e ulularci dentro. Vide Zuzzo indietreggiare e Black impazzire per quel pezzetto di pelle macilenta volatogli sul muso. Ralph s’accorse di tenere le zampe impantanate in una pozzanghera di sbavo e sangue. La bava era sua, il sangue no, e non c’era rimasto nient’altro che il suo corpo teso e ringhiante al centro dell’arena. Zuzzo e Zizzo erano indietreggiati, uno dietro a Diana l’altro dietro Black. Black era l’unico che mostrava ancora i denti e ringhiava con convinzione. Diana s’era messa a leccare le ferie del povero Zizzo.

“Anch’io sono contento di rivedervi” ringhiò infine Ralph.

 

Un uomo era venuto a riempire la vecchia mangiatoia dei maiali – ora destinata al branco – degli avanzi di un qualche banchetto. C’erano brandelli di pasta, ossa di manzo e di maiale con brandelli di carne cotta tutt’intorno, croste di pane à gogo, carote ammosciate e altre cose il cui sapore era confuso nel pappone. Mangiarono in silenzio, tutti insieme, come una volta. A pancia piena si stesero tutti al sole, Zuzzo e Zizzo a far asciugare le croste e scacciare le mosche, Black in disparte a guardare in cagnesco Diana e Ralph che scambiavano occhiate di sottecchi.

Il vecchio bastardo è geloso di me, pensò Ralph, in parti uguali inorgoglito e irritato. Diana però era fredda, il volto severo, spogliato dal languore materno con cui l’adocchiava una volta, quando a Ralph si rizzava il pelo per le occhiatacce di Bertuccio. A pomeriggio inoltrato Diana si alzò in piedi e tutti alzarono la testa per guardarla. Ralph e Black fecero per seguirla mentre puntava verso il vecchio recinto dei maiali. Diana fissò Black a lungo, facendolo tornare al suo posto. Black fece finta di nulla continuando a seguirli per un po’, finché Diana non fu costretta ad un sommesso abbaio.

“Stupido coglione” borbottò Diana. Dentro di sé, Ralph sorrise, un sorriso breve mentre giravano intorno al recinto ch’era stato di Esmeralda.

“Stupido coglione” ripeté Diana.

“E’ tornato dagli altri” fece Ralph “ha smesso di seguirci”

“Non lui. Tu.”

Ralph sentì i peli rizzarsi sulla schiena, poi l’odore di Esmeralda, ancora attaccato ai pali di legno del recinto su cui strofinava i fianchi rosa e tra cui infilava il suo bel collo, lo fece vergognare di sé.

“Stupidi coglioni tutti quanti voi. Cosa credevi sarebbe successo alla tua Esmeralda? I maiali sono carne da macello, da bistecche e salsicce. Ma t’eri messo in testa chissà cosa, con quella porchetta spocchiosa. Dovevi rischiare di farti ammazzare per una che non era nemmeno degna di chiamarsi scrofa. Eppure Bertuccio ci aveva provato in tutti i modi a fartelo capire, a tenerti lontano dal recinto di quella troia. Ma tu no. Eri troppo stupido e troppo ingenuo per dargli retta.”

“Mi dispiace per Berto” disse Ralph “non immaginavo che”

“Cosa? Che si sarebbe preso la schioppettata al posto tuo? O che il padrone non t’avrebbe ammazzato dopo quella scenata? Mai aggredire i padroni, e per cosa poi? Se te ne stavi al tuo posto, forse ti capitava di addentare un avanzo di costoletta della tua bella maialina, visto che ti piaceva tanto”

Ralph scattò senza nemmeno accorgersene, oltraggiato, mosse addosso a Diana a denti scoperti pronto ad azzannarla. Diana non si scompose, spalancò la bocca in una tempesta di latrati misti a insulti. La cosa finì subito. Ralph era furioso ma il senso di colpa gli mordeva la coda. Era successo proprio lì, dove stavano ora. Ralph rivide Bertuccio avventarsi sul braccio del padrone poco prima dello sparo, il terriccio esploso tra le zampe di Ralph e quel grido mischiato ai latrati – “scappa coglione!” – mentre Bertuccio si accaniva sulla canna, mordendola come potesse piegarla con la sua mascella portentosa. Poi un altro sparo, un guaito simile a quello d’un cucciolo strappato alla tetta della madre, un suono che nessuno avrebbe mai accostato all’immensità del corpo di Bertuccio, il silenzio e rimbombo sordo sotto le zampe di Ralph che galoppavano oltre il cancello di quella che non sarebbe stata mai più la sua casa. Forse.

“Mi dispiace” ripeté Ralph, furioso, meno con se stesso e più con gli altri. “Voi… come fate a restare ancora qui? Dopo quello che gli hanno fatto?”

“Pensi che Bertuccio sia stato il primo a finire sepolto in fondo al campo? Ce ne sono stati altri di cani idioti che pensavano di contare più degli altri, e di poter mordere la mano che li nutre”

“Ma noi non abbiamo bisogno d’essere nutriti”

“Parli tu! Cresciuto in appartamento col culo al caldo!” latrò Diana.

“Non ho scelto io dove nascere, e non avevo nemmeno la possibilità di scappare. Prova tu a vivere sempre al guinzaglio, a dover cacare in una lettiera ché altrimenti ti sbattono il muso sulle tue feci, a sopprimere tutti i tuoi istinti perché il padrone dice che questo e quello è sbagliato e tu non sai perché. A farti accarezzare come un fottuto pupazzo solo quando va a loro, a dover essere buono e carino pure quando hai la luna storta, a non poter mai abbaiare, fare un concerto di ululati e poter vedere gli altri cani solo a metri di distanza soffocando in un guinzaglio. Ad accontentarti d’ingroppare un cuscino perché una fica non te l’hanno mai fatta nemmeno annusare. A stare con una museruola anche se non hai mai morso nessuno. Non poter dare la caccia a niente e nessuno. Avere così tanti istinti che la metà basta e non sapere se sei sbagliato tu o il mondo in cui sei capitato. Sapere di poter dare di più, di dover fare di più senz’averne mai avuto l’occasione. Ti hanno mai messo una museruola? Ti hanno mai puntato un fucile alla fronte?”

Ralph ansimava come uscito da un’altra zuffa, con più dolore addosso di quanto gliene aveva procurato la zuffa di prima. Caldo dentro e freddo fuori. L’odore di Esmeralda, ancora così nitido, gli penetrava le narici. Sembrava l’avessero appena strappata dal dannato recinto. Erano passate settimane o mesi, eppure lei era ancora lì, così come Bertuccio. C’era da qualche parte in quel terriccio un ciuffo d’erba cresciuto sui grumi del sangue di lui, brandelli di pelle e pelo essiccati tra gli sterpi. Ralph voleva strapparsi di dosso il naso.

“E voi” ringhiò amaramente “voi cresciuti in questo posto, quasi liberi, lasciate che quei bastardi facciano carne da macello di tutti noi. Non abbiamo bisogno di loro, fottuti umani. Non abbiamo bisogno di Lui, di nessun padrone”

“E’ per questo che sei tornato?” guaì Diana “per ammazzare il tuo vecchio padrone?”

Ralph non lo sapeva, non quando aveva lasciato il branco dei sette randagi. Adesso sì. Lo sapeva. Si era vergognato d’essere fuggito, ma non era stata codardia. Istinto di sopravvivenza. Niente di più naturale. Ma loro, tutti loro avevano accettato la morte del capobranco per quieto vivere. Per la ciotola piena, accettavano di chinare la testa al fucile. Erano proprietà, e meritavano d’essere più di questo. Anche se Diana era forse l’unica in grado di capirlo. “Non vuoi vendicare Bertuccio?” le chiese.

Diana abbassò il muso, annusando il terriccio e puntando col naso quei ciuffi d’erba, là dove il sangue era stato versato. “Lo voglio”

“E gli altri?” chiese Ralph.

“Faranno come dico io” disse Diana.

 

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