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Stai leggendo: "Il Cattivo" di Quinto Moro

 

2.

 

Correva. Il cuore gli batteva all’impazzata. Non aveva un fisico allenato. Star chiuso in laboratorio a far progetti non gonfiava i muscoli delle gambe.

Si sentì stupido. Non aveva mai preso in considerazione l’idea di una fuga vera, fatta sulle sue gambe. La pattuglia della polizia davanti al portone di casa non l’aveva allarmato. La sicurezza dell’anonimato aveva anestetizzato le paure per divise e autopattuglie, da sfidare con lo sguardo tranquillo e grato del comune cittadino. Eppure aveva rallentato e loro se n’erano accorti. Lo fissavano. Erano lì per lui.

“No” disse tra sé “è troppo presto. Troppo presto!”

I poliziotti erano più veloci di lui. Certo, erano allenati. Dovevano esserlo. Non erano come gli sbirri dei telefilm americani, tutti ciccia e ciambelle. Quelli erano mastini nerboruti, con spalle da body builder. Cani da guardia affamati, ginocchia alte nella corsa da veri scattisti. Ma lui, il Manciuriano, conosceva quei vicoli e marciapiedi. Ogni piastrella di cemento sconnessa. Ogni sacco d’immondizia. Ogni cacca di cane.

Svoltò a destra, zigzagando tra i rottami d’auto parcheggiate e impolverate da decenni e vecchio il furgoncino giallo a coprire la vista sull’uscita del vicolo. Gli sbirri avevano rallentato per riprendere contatto visivo mentre lui svoltava ancora a destra. Era la strada più lunga, a sinistra si aprivano altre viuzze, ma il Manciuriano calcolò di poter reggere l’allungo degli inseguitori per un paio di falcate, perché quella strada era il cacatoio canino dei quartieri limitrofi, e forse dell’intera città. Il marciapiede era così rovinato che il cemento s’era fatto rado, lasciando strada ad erbe e muschi, ed era il gabinetto preferito dai della zona e a giudicare dalla grandezza di certi stronzi pure dei loro padroni. Non che il Manciuriano si aspettasse di vedere gli sbirri rallentare per non pestare una merda, ma con quelle mine puzzolenti unite all’erba umida del mattino c’era di che scivolare. Cosa che puntualmente avvenne al più zelante scattista, che perso l’equilibrio finì carponi davanti a un campionario di cacche, ed investito dalla zaffata mefitica vi aggiunse un tocco di colore rimettendoci cappuccino e brioche.

Lo sbirro numero due rallentò per accertarsi della salute del compare che lo incitava a proseguire l’inseguimento. Il Manciuriano svoltò a destra, sul lato corto dei palazzi di nuovo a cavallo tra le vie principali e diede fondo a tutto il suo fiato. Fece altre due svolte e si fermò col cuore che gli rimbalzava dallo stomaco al gozzo come in un flipper. Contò fino a venti prima di sbirciare: lo sbirro correva nella direzione opposta. Svoltando sempre a destra, aveva fatto il giro in tondo ritrovandosi al punto di partenza, riavvicinandosi a casa sua. Rise tra sé, e col fiato corto attraversò la strada, mischiandosi fra le tre persone che aspettavano l’autobus. Salì e dal finestrino salutò l’auto della polizia ancora parcheggiata davanti casa.

Doveva riflettere su cos’andava fatto ora, ma si perdeva in altri pensieri, indeciso sui lati positivi o negativi delle sue sfortune. Erano venuti a prenderlo. Sapevano già tutto o avevano solo sospetti? In tal caso fuggire li avrebbe confermati, ma non aveva intenzione di mettersi nelle mani della polizia e sperare nella fortuna. Era indeciso su cosa potesse fargli più dispiacere, se perdere la casa o il covo segreto. Non era escluso che un’altra pattuglia fosse là ad aspettarlo, ma doveva sapere. Tutti i suoi attrezzi, i progetti, le mappe. Là c’era tutto ciò che poteva incriminarlo, per non parlare del suo prezioso arsenale di armi artigianali, le scorte di benzina e polvere da sparo.

 

Raggiunto il covo si avvicinò circospetto, strisciando tra i cespugli e passando dal buco della recinzione sul retro. Fuori tutto tranquillo. Potevano essersi nascosti ad attenderlo, avvisati via radio dai colleghi che aveva giocato un’ora prima. Entrò dal cunicolo segreto, quello della rete idrica. Alzò la botola d’uscita lentamente, spingendola con la testa. Vide un ratto che se ne stava bel bello a rosicchiare una ciambella di nastro isolante.

“Bastardello” disse il Manciuriano “sarà il terzo rotolo che mi rovini questa settimana. Ma se ci fosse qualcuno nel mio covo non te ne staresti là tutto tranquillo a mangiarti i miei attrezzi. A meno che tu non sia un ratto spia degli sbirri”

Come se l’avesse sentito, il ratto smise di rosicchiare e scappò via, salvo tornare indietro a metà strada e riprendersi la sua ciambella di colla e gomma blu per poi sparire sotto uno scaffale.

Il Manciuriano esplorò il covo con passo felpato. Il posto era sicuro ma chissà per quanto ancora. Aveva un gran bisogno di dormire. Gli sbirri potevano sorprenderlo nel sonno ma doveva rischiare. Nascose alcuni degli attrezzi più importanti e andò a rannicchiarsi di nuovo nel cunicolo di servizio, a metà strada tra le due botole, inforcando il suo guanto di ferro che gli servì da calmante. L’oscurità del cunicolo fece il resto, regalandogli un lungo sonno.

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