top of page

Stai leggendo: "Ralph - Supermaxicane" di Quinto Moro

​

5. Esmeralda

 

Esmeralda aveva gli occhi verdi. La pelle rosa lucida. La maialina più pulita che Ralph avesse mai visto. Ogni mattina metteva il muso fuori dal recinto e lui le correva incontro, o almeno ci provava, ché il grugno ringhiante di Bertuccio gli si parava davanti per farlo allontanare.

Esmeralda era la stella della fattoria e non stava con gli altri maiali, il padrone le aveva fatto delle foto e il suo visetto rotondo era finito stampato sul silos del granaio e sugli adesivi dei camioncini. All’inizio, Ralph credeva che Bertuccio volesse difendere Esmeralda, ma bastò poco per rendersi conto che in realtà la detestava. Forse era geloso, lo irritava che il padrone preferisse un maiale al suo cane da guardia numero uno, o forse Bertuccio non era tanto geloso di lei quanto di loro, di Esmeralda e Ralph. Di come si guardavano da un lato all’altro del cortile, degli incontri fugaci a lato del recinto quando gli altri non guardavano.

Bertuccio latrava che sarebbe diventata una scrofa e l’avrebbero sbattuta nel porcile, a grufolare nella merda e nel fango, a farsi ingravidare dal verro più sozzo e grasso, a sfornare maialini finché non fosse diventata troppo vecchia per poi essere macellata. Avrebbe detto o fatto qualsiasi cosa per tenerli lontani, e più di una volta aveva aggredito Ralph solo per essersi avvicinato a quel recinto, o per aver guardato Esmeralda troppo a lungo. Ralph aveva sempre la peggio, ma i morsi e le botte subite erano addolciti dagli strilli di Esmeralda, implorante e disperata per l’incolumità di Ralph. Soffriva per lui, ed era una dimostrazione d’affetto sufficiente ad attenuare l’umiliazione per le vessazioni di Bertuccio.

Un pomeriggio, Ralph sognò di scavare un fosso presso il recinto di Esmeralda, sfregare il collo e il muso contro il suo prima di fuggire insieme, inseguiti dalla furia di Bertuccio. Nel sogno Bertuccio era due volte più grosso e due volte più veloce, le zampe di Ralph sprofondavano nel fango mentre Esmeralda era già lontana ed urlava disperata per il fato del suo amato. Ralph si svegliò ringhiando, odiando Bertuccio d’un odio assoluto. Non li avrebbe mai lasciati in pace e cominciò a desiderarne la morte. Era solo questione di tempo prima che le solite zuffe si trasformassero in qualcosa di più selvaggio, più definitivo.

Ralph aveva deciso: niente più ritirate con la coda tra le gambe, era pronto a farsi sbranare da Bertuccio, ma avrebbe lottato sino alla fine. Uno di loro due doveva morire, e se voleva impedirgli di stare con Esmeralda, il capobranco doveva spingersi al più brutale dei gesti. Forse il suo padrone, che l’aveva cresciuto e coccolato per tanti anni, l’avrebbe vendicato in qualche modo, e se per un fortunato caso fosse stato Ralph a uscirne vincitore, il padrone avrebbe capito. Il padrone sapeva che Bertuccio gli dava il tormento, aveva visto e curato le sue ferite tante volte. Ralph voleva solo vedere Esmeralda un’ultima volta, sentire il suo odore e sfregare il collo con lei un’ultima volta, prima della resa dei conti.

Ralph scorse Bertuccio in lontananza, ritto a guardia del casolare dietro il granaio col resto del branco. Ralph era solo, e con abbastanza vantaggio per scattare verso il recinto, fare il giro e incontrare Esmeralda sul retro, nascosto alla vista del branco. Per quanto l’idea gli facesse repulsione, Ralph pensò ai gatti, ad imitarne i movimenti felpati, avanzando deciso per poi fermarsi e scrutare il nemico in lontananza e zampettare di nuovo, dritto all’obiettivo.

Quando Ralph raggiunse il recinto Bertuccio e gli altri stavano ancora là. C’erano i furgoncini del padrone, quelli col bel volto di Esmeralda stampato a tutta fiancata. Il branco era eccitato, di sicuro gli uomini stavano scaricando i sacchi di crocchette e tutti stavano a sniffare l’aria e farsi venire l’acquolina in bocca.

Ralph grattò sullo steccato una, due volte. Esmeralda non l’aveva sentito. Fece uno sbuffo, non troppo forte, sniffò tra le assi e infine cacciò dentro la testa. Il recinto era vuoto. L’odore di Esmeralda c’era ancora, ma alleggerito dall’assenza. Ralph fece il giro del recinto guaendo piano, con le orecchie tese ai dolci grugniti della maialina. Ma non c’era nessun grugnito. Nessun grugnito. Nemmeno dalla porcilaia. Ralph attraversò di corsa il piazzale. I maiali erano spariti. Non c’era il camion più grosso, quello su cui arrivavano i verri e le scrofe e da cui a volte ripartivano. Sembrava impossibile che li avessero portati via tutti sotto il suo naso. Ralph incrociò lo sguardo di Bertuccio in lontananza ed ebbe ancora la sgradevole sensazione di agire da gatto, fermandosi dubbioso prima di avanzare ancora. C’era un buon odore nell’aria. Un odore fresco, gradevole, che faceva scodinzolare. Dimenticò Esmeralda per un momento, perché quello non era stantio odore di crocchette. Raggiunse i compari del branco, tenendosi a debita distanza dallo sguardo severo di Bertuccio.

L’odore veniva dalle finestre, sulle cui zanzariere sbattevano ingorde le mosche e i moscerini. C’era la voce del padrone e quella di altri umani, Ralph ne riconobbe alcune ma non riusciva a collegarle a forme o altri odori. C’era solo un odore, dolce e favoloso, gli dava l’acquolina in bocca. Non mangiava dalla mattina presto e con la dormita aveva saltato il pranzo. Si aprì una porta e venne fuori un uomo con una carriola, presa d’assalto dalle mosche e dagli sguardi avidi del branco. Dentro c’erano frattaglie e sangue. L’uomo afferrò un fegato grosso quanto un prosciutto e lo gettò a metà tra Bertuccio e gli altri che cominciarono a disputarselo. Nessuno badò a Ralph mentre infilava il muso nell’uscio socchiuso, lasciandosi risucchiare dall’odore inebriante della carne fresca, dall’umidore del sangue sul pavimento del macello. Scodinzolava ancora mentre ansava con la lingua penzoloni, fermo davanti a quella testa di maiale presso un corpo non più di maiale, sbagliato nella forma, nel vuoto del ventre striato da costole esposte e linde, nella forma slabbrata delle cosce aperte e dei piedi infilzati da ganci metallici.

Ralph sentì l’urlo e subito il colpo, il bastone di una scopa dritto sul muso accompagnato alle bestemmie degli uomini che gl’intimavano di uscire. Ralph arrancò sul pavimento viscido, annaspando senza riuscire a scattare e beccandosi altre bastonate fra le costole. Uscì rincorso da urla e minacce, accolto dall’abbaio eccitato del branco.

Il maiale squartato e appeso al soffitto non apparteneva più alla specie di quelli conosciuti alla porcilaia. Svuotato delle interiora, della scorza di fango, del puzzo, alto e smagrito come un umano appeso a testa in giù lasciava solo intendere l’antica enormità. Ma non era Esmeralda. Dai latrati dei compagni di branco mancava il più profondo di tutti, quello di Bertuccio che lo fissava severo, immobile nel vuoto tra le automobili e i recinti, con la barbetta di pelo ancora imbrattata dal pasto di fegati e rognoni vinti nella rissa con gli altri.

Ralph immaginò di rientrare nella stanza del macello, di cercare la sua Esmeralda, trovarla su un tavolo con la mannaia pronta ad abbattersi e liberarla azzannando lo stinco dell’assassino, foss’anche stato il suo padrone. Invece riusciva solo a fissare l’unica porta del locale, con le orecchie tese nella speranza di sentire versi diversi dalle voci umane.

“L’hai vista?” chiese Diana. Gli era arrivata alle spalle e Ralph la fissò per un lungo istante, poi un uomo uscì dal locale portando in braccio un involto bianco, simile alle coperte da neonato in cui Ralph aveva visto avvolgere le figlie del padrone in un tempo troppo lontano per sembrare vero. Ma quella era carta bianca da macelleria, dal cui lembo arrossato di sangue spuntava era una minuta testa rosa con due occhietti verdi spenti e fissi.

Ralph non abbaiò, non poteva con la bocca piena della stoffa e della carne dell’uomo che portava via la carcassa di Esmeralda. Non sentì il gusto del sangue che gli riempiva la bocca mentre addentava il polpaccio, né le bastonate sulle costole incapaci di placare la sua rabbia. Non sentì la fame delle ore seguenti passate in castigo, rinchiuso nello stretto recinto ancora impregnato dell’odore di Esmeralda, né udì le ultime parole del padrone, lo scatto delle canne chiuse sulle cartucce della doppietta. Non udì il ringhio e l’urlo della rissa seguita all’intervento di Bertuccio, balzato nel recinto mentre gli occhi neri delle canne guardavano in quelli di Ralph. E Ralph era fuggito avvolto nel silenzio seguito allo scoppio degli spari, recuperando l’udito giorni o settimane più tardi, in un prato animato dai latrati di sette randagi.

 

©© Copyright
bottom of page