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Stai leggendo: "Nerezza 2" di Quinto Moro

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2.

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A Babbo Natale avevo chiesto le costruzioni dei pirati. Nei miei sogni, il Paese dei Balocchi aveva piante, edifici e persone fatte di mattoncini Lego.

“Forse quest’anno ti porterà qualcosa di più bello” disse mia nonna.

“Non c’è niente di più bello”

“Certo che può esserci” disse mia madre “ci sono anche regali più da grande sai”

Non ero così stupido da controbattere. Guai a intestardirsi mentre chiedi qualcosa, se potrebbe esserci qualcosa di meglio, di più prezioso e grande. Sì, ero un figlietto di puttana opportunista e avevo fiutato qualcosa da quella e altre risposte carpite a più riprese sui doni natalizi. Non che fossi convinto, ma col passare dei giorni cominciai a passare i rassegna i possibili regali più da grande delle costruzioni.

Ero ancora troppo piccolo per guidare una Dodge Charger arancione come quella di Bo e Luke, ma era decisamente il regalo più da grande che potessi immaginare. Presi a crucciarmi seriamente sull’ipotesi di quel regalo: come arrivare ai pedali, cosa mettere sul sedile per vedere oltre il volante, dove metterla, visto che si trattava di un’auto imponente e il cortiletto era già impegnato dalla Volkswagen dei miei genitori. Non avrei mai voluto tenere la mia Dodge per strada, avrebbero potuto rubarla o graffiarla – mi rassicurava il sospetto che la vera Dodge di Bo e Luke fosse indistruttibile e impermeabile a qualsiasi danno e graffio – ma c’era il problema non da poco degli sportelli saldati. Babbo Natale doveva tenerne conto, serviva anche una scaletta per arrivare al finestrino e scavalcarlo. Ma una volta partito la scaletta sarebbe rimasta lì, e tirarla nell’abitacolo ogni volta sarebbe stato scomodo. Poi l’idea: sulla sponda ribaltabile del suo camion, mio padre aveva montato un piedistallo pieghevole. Sarebbe bastato montarne una uguale sulla fiancata del Generale Lee. Seguirono altri crucci. Il Generale Lee non aveva i finestrini, e da noi pioveva spesso, non come nelle estati perenni di Hazzard. L’auto si sarebbe riempita d’acqua, gli interni rovinati al primo inverno. C’era poi da pensare alla benzina. Babbo Natale me l’avrebbe portata col pieno, o vuota come i concessionari? Il rischio era lo stesso di tutti i giocattoli a batterie, che non potevo usare subito se chi me li regalava non badava alle batterie. Quando poi riuscivo ad averle, finivo per non usarli più una volta scariche.

Benzina o non benzina, con la Dodge arancio fiammante di Bo e Luke fuori di casa, io solo con le chiavi per farla muovere – o pure senza chiavi, foss’anche stato il più ingombrante soprammobile del mondo – sarei ancora stato il più fortunato e invidiato bambino del paese. Ma che gusto c’era ad avere una macchina se non potevo usarla? E ancora: fin dove mi avrebbero permesso di arrivare? Certo i miei genitori avrebbero avuto di che ridire. Mi sarei perso? Sarei stato un pilota coscienzioso? Mi avrebbero permesso di guidarla solo intorno al quartiere?

Per settimane tempestai chiunque di domande su tutto ciò che riguardava le automobili: guidare, accendere e spegnere i fari, cambiare una gomma, rifornire col gasolio o la benzina. La patente fu l’ultimo pensiero e pietra tombale su quella fantasia. Il mio regalo da grande non poteva essere il Generale Lee. Dovevo ridimensionare le mie aspettative, letteralmente: non s’era mai visto che Babbo Natale lasciasse i regali nel cortile o sul marciapiede. Il dono misterioso doveva passare dalla canna fumaria, dalla porta o dalle finestre di casa. Ricominciai a contare sulle dita le cose che spettavano “solo ai grandi”: le sigarette, gli alcolici, i frutti di mare, i coltelli affilati, i trapani, le motoseghe. Fantasticai a lungo sulla motosega, ma mi resi conto in fretta dei suoi limiti: andava a benzina come le automobili, e tagliava solo il legno, non i muri o il ferro. Troppo debole per i miei gusti.

Col Natale alle porte misuravo mentalmente lo spazio che i regali avrebbero occupato sotto l’albero. Un regalo “da grande”. La persona più grande del mondo era Arnold Schwarzenegger. Un regalo da grande poteva essere una pistola, un fucile, o un bazooka a quattro canne come quello di Schwarzy nel mio film preferito. Sarebbe passato dalla canna fumaria, e lo spazio sotto l’albero era perfetto. Quella sì ch’era un’arma potente. Quattro missili erano pochi, ma meglio della lampada di Aladino coi suoi miseri tre desideri. Uno andava usato subito, per far capire a tutti che facevo sul serio. Non avrei lasciato a nessuno l’opportunità di provocarmi e dirmi: “tanto non hai il coraggio di usarlo”. Uno sparo il giorno di Natale, o forse a Capodanno, per gli altri tre missili avrei deciso con più calma. Era sufficiente non consumarli fino al mio compleanno, o alla peggio non prima del prossimo Natale, quando avrei potuto chiedere altre munizioni.

Cominciai a fare domande sul mitico regalo: è pesante? Si, era pesante. Fa rumore? Si, faceva rumore. Potrò usarlo poche o molte volte? Molte volte – evviva, pensai, munizioni extra! Mi rispetteranno di più quando lo uso? Se lo userai bene, tantissimo – certo, se non vorranno saltare in aria. Ha un pulsante nero? Più di uno – logico, uno per ogni missile.

“Sei davvero intelligente” disse mia madre con gli occhi pieni d’orgoglio “non ti posso dire altro anche se l’hai già capito, è pur sempre una sorpresa”.

Alla vigilia di Natale il cuore mi batteva all’impazzata. S’era stabilito – tra le mie infinite proteste – che contrariamente alla tradizione avremmo aperto i regali solo al rientro dalla messa di Natale. L’idea di rimandare dopo tanta attesa mi era insopportabile, e faceva nascere un chiaro desiderio sul mio primo bersaglio. Fottuta chiesa.

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