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Prologo - Il risveglio

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Nero. Il codice scorre in lampi biancazzurri su sfondo nero. E nero, la parola, il colore, è il primo pensiero. Le lettere, come flussi di codici ininterrotti si accavallano nel turbine freddo dell'oscurità. Nero. La parola è un codice, e il codice è un linguaggio. Scie elettriche si propagano in caduta libera, si scindono a destra e a sinistra in due rami, per due volte. Il flusso scorre sul tronco e nutre le linee di gambe e braccia, che ancora si ramificano in cinque parti. Mani, grandi, vigorose e immediatamente sovraccariche di luce elettrica. Piedi, addormentati, mollicci, contrastano sui i vigorosi fasci muscolari di metallo e polimeri.

 

Una macchina, un esoscheletro robot, di questo si tratta: il corpo Warframe è biometallo elastico percorso da scariche d’energia, in parte elettrica e in parte Void. Void, un’altra parola che sa di dolore e sacrificio, di lutti e disgrazie, di schiavitù e rovina sull’umanità e su tutto il Sistema Solare. Non c’è spiegazione a quella parola, il mistero non è mai stato svelato, eppure secoli d’evoluzione si sono costruiti su di essa.

 

Un suono viscido accompagna il ritorno della gravità che schianta al suolo il torace e la testa, gli arti appendici insensibili. La gelatina piezoelettrica si dirada come placenta in lenta disgregazione sulla schiena sussultante. All'esterno, una voce gracchiante in una lingua dimenticata riempie lo spazio vuoto d'intorno, rintrona per la stanza vuota e polverosa. Il lume verdeoro rischiara il pavimento e acceca le prime percezioni fuori dal guscio. Non ci sono occhi, la vista è qualcosa di diverso. All'esterno, la voce si fa più vicina e nitida, i suoni gorgoglianti si riavvolgono in spirali localizzate verso la bocca contorta d'un vecchio guercio il cui volto raggrinzito emana fetore di morte. Ustioni e cicatrici segnano i lati della bocca e risalgono le guance fino agli occhi, uno piccolo e bianco, l'altro nero e rosso, artificiale.

 

Gl'inganni del linguaggio s'incastrano tra gli ingranaggi di codici e lettere, la memoria decade e si rintana negli anfratti più sicuri dell'oscurità profonda mentre i flutti elettrici s'accendono alle pendici del dorso delle mani e delle dita, gonfiando il petto e i fasci di muscoli sintetici in tutto il corpo. La lingua è quella dei Grineer, l'inflessione immutata ma gli accenti e la sintassi paiono diverse da quelle registrate nei banchi di memoria del Warframe. La lingua si è evoluta, non in meglio forse, ma così sembra. Tanto tempo è trascorso, almeno questo è chiaro, il corpo sente l'inattività e gli anni trascorsi in stasi. Anni, forse decenni sono trascorsi dalla sua costruzione.

 

Nell'aria c'è ossigeno, il tessuto traspirante che riveste ogni arto e muscolo riconosce sapori antichi, troppo puri per la memoria che l'immaginava più corrotti. Non è un pianeta lontano o una stazione isolata i cui usi e costumi dei selvaggi si siano isolati tanto da renderli estranei. L'asettica vuotezza dello spazio, sporcato solo da poche macerie, mostra le essenziali e pur sfarzose forme dell'architettura Orokin. Spira un flusso d'odori umidi e impregnanti che richiamano alla mente colori e forme, profumo di foglia di giada, d'acqua, di terra. Di Terra. C'è un odore di muschio, d'acquitrini ed escrementi di cani kubrow.

 

La gravità pare allentarsi un istante per consentire all'elmo del Warframe di muoversi e alzare il muso all'insù. Il Grineer si allontana e si confonde nella chiazza cosmica del portale, poi qualcosa lo colpisce e si accascia. Suoni gutturali più violenti s'avvicinano, il volto del vecchio si fa grande, come osceni petali organici le pendici ai lati della sua faccia si aprono rivelando la sua brutta faccia.

 

Il grugnito del vecchio rimbomba nella stanza vuota, la forma grottesca del suo corpo proietta dal portale Void un'ombra spettrale fino all'elmo glabro e biancastro del Warframe disteso al suolo. E il vecchio avanza soddisfatto, i denti esposti sulle labbra avvizzite, e canta vittoria.

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