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Stai leggendo: "Ralph - Supermaxicane" di Quinto Moro

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3. Chi trova un amico trova un pallino

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Ralph sbadigliò con calma e a lungo, come gli piaceva fare ogni mattina: occhi chiusi e lingua in fuori ad assaggiare l’aria a grandi boccate. Il sole era già alto. La radura vuota.

“Dove sono tutti?” uggiolò.

“Max è a caccia con Dado e Jack. Gli altri sono in cerca”

La voce era quella di Bolly, accucciato all’ombra di un cespuglio.

“E Pedro?” chiese Ralph.

Bolly accennò col muso in direzione dell’erba alta.

“Se ne sta coricato in disparte, come ogni giorno da quando siete tornati quella notte”

Pedro non aveva detto niente della fucilata ed era tornato a chiudersi nel solo mutismo. In effetti, la notte in cui gli avevano sparato era stata la prima volta in cui Ralph l’aveva sentito dire più di due parole di fila.

“Pensa di essere orgoglioso a non farsi aiutare” disse Bolly “invece è solo stupido. Pensa che non ci siamo accorti che gli hanno sparato nel culo”

“Dovremmo aiutarlo”

“Cosa sei, il suo padrone? Se vuole morire sono cazzi suoi”

Ralph sgranò gli occhi, poi lanciò un abbaio oltraggiato ma subito si calmò. Nel suo modo sgradevole, Bolly aveva ragione.

“C’è rimasto qualcosa?” grugnì Ralph cambiando argomento. “Niente ossa di pollo?”

“Max deve averle finite un’altra volta” sbuffò Bolly.

“Non gli si buca lo stomaco, a quello?”

Bolly sbadigliò, camuffando un sogghigno. “Non dirmi che credi a quella storia”

“Beh, sì, ci credo.”

“Polli e conigli sono la dieta base del randagio. Di cosa credi che si nutrissero i nostri antenati lupi? Credi gli si bucasse lo stomaco per le ossa scheggiate dei polli? Sono le tipiche stronzate dei padroni per tenere a bada i cani da guardia dei pollai. Se mangi questo ti buca lo stomaco e muori, se no come lo convinci un cane a fare la guardia alle galline senza sbranarle?”

“Già” uggiolò Pedro da lontano “come se a fare la vita legati a una catena aspettando pane vecchio e avanzi di pasta scotta sia una vita da prolungare”

“Stai cercando di farti ammazzare Pedro?” gli latrò Bolly “per questo entri da solo nei pollai a notte tarda?”

Bolly si alzò e andò a sedere accanto a Pedro, ma senza accucciarsi, guardandolo dall’alto in basso con sguardo severo. “La caccia notturna si fa solo agli animali selvatici, non si entra di soppiatto nei pollai come una volpe schifosa”

“Ci vado perché mi va. Si mangia bene e si scopa”

“Da non credere” fece Ralph “Max aveva ragione su di te”

“Lo conosce da più tempo” fece Bolly “ma tu pensavi di aver capito tutto? Di tutti? Zitto zitto, il nostro Pedro fa le sue scappatelle, e un giorno o l’altro ci lascerà la pelle per questo”

“Lascialo in pace Bolly”

“Ralph Ralph, tu sei troppo buono per fare il randagio. Saresti stato un buon cane da concorso, quelli dove ti fanno fare dei numeri e ti mettono su tavolino misurandoti dal muso alla coda, ti lisciano il pelo e ti danno un voto”

“Mai fatto niente del genere” sbuffò Ralph.

“Allora il tuo padrone era un idiota” guaì Bolly.

Ralph scattò, ringhiando. Pedro alzò appena il collo da terra, cercando un poco d’appiglio sulle zampe, come pronto a intervenire per dividerli pur non avendone le forze. La rabbia di Ralph si spense com’era venuta, tramutata in vergogna.

“Sei ancora un cane da compagnia, in fondo in fondo”

Non c’era disprezzo né scherno nel tono di Bolly e Ralph lo odiò con tutto se stesso. Avrebbe meglio tollerato lo scherno o l’insulto, non quella condiscendenza. L’idea di provare ancora qualcosa per il suo vecchio padrone lo umiliava.

“Ti passerà” disse Bolly “o così penserai tra qualche tempo. Poi un giorno ti troverai a bazzicare la proprietà del tuo vecchio padrone, sperando di sentire il suo odore, sentirlo chiamare il tuo nome, e in men che non si dica gli stai correndo incontro, speranzoso di una ciotola piena. Acqua e cibo separati. Una cuccia se va bene, un riparo alla peggio. Ti metterà un guinzaglio per non farti scappare più, e sarai grato e felice. Dimenticherai i tuoi giorni da randagio convincendoti pasto dopo pasto che non ti sei lasciato dietro niente di speciale: la campagna, la caccia, un branco. Sei cresciuto sotto un padrone, e sotto un padrone vorrai sempre stare, sperando che si prenda cura di te da vecchio e come faceva da piccolo”

“Sembra la storia della tua vita”

“E’ la storia di un mucchio di cani. Guarda Pedro: lui bazzica i pollai e le case di periferia degli umani per riassaggiare un po’ quella vita, tanto quanto basta a inimicarseli, ammazzando un pollo o ingravidando qualche cagna, da essere sicuro che avvicinandosi troppo finirà ammazzato. Non si farebbe mettere mai più un guinzaglio, dico bene Pedro?”

“Preferisco farmi sparare prendendomi quello che posso” disse Pedro “senza che siano loro a darmi le loro briciole quando gli va”

“Se ne sei così fiero” fece Ralph “perché nascondi la ferita e te ne stai in disparte? Dovrebbe essere un vanto”

“Mi sono fatto sparare. Colpa mia. Non voglio la compassione degli altri”

“A che serve un branco allora?”

“Non a farsi compatire” disse Bolly “serve per avere qualcuno su cui contare qualche volta. Io ci sto perché ci devo stare, come Rudy, che da randagio in città finirebbe sotto una macchina. Come Pedro, che ancora così carino finirebbe per farsi adottare da qualche famiglia, morendo in un appartamento o legato a una cuccia. Come Max, che con quel caratteraccio finirebbe in un canile e soppresso entro la prossima luna piena. O come Charlie, che così vecchio e sgonfio non riuscirebbe più a mangiare senza qualcuno che caccia per lui, come facciamo noi. Nessun uomo adotterebbe un cane così malridotto né lo metterebbe a fare la guardia. Max non ha tutti i torti a volerne prendere il posto. Charlie fa poco se non mangiare alle nostre spalle e prendere decisioni, e di cani che decidono più per il branco che per sé non ne ho mai incontrato. Sai perché a Charlie vai tanto a genio caro Ralph? Gli piacerebbe vederti al comando perché tu non lo lasceresti morire di fame. Da buon cane addomesticato, ti comporteresti da buon padrone”

Ralph fece per allontanarsi ma qualcosa lo trattenne, andò invece a sedersi più vicino a Pedro.

“Dài, fammi vedere la ferita”

Pedro si girò sul fianco opposto per nasconderla, guaendo per il dolore. Ralph lo spinse piano col muso, convincendolo a girarsi di nuovo. La chiappa era gonfia, annerita dal sangue secco.

“Il pallino è ancora dentro?”

Pedro annuì, facendo lunghi e stanchi respiri, socchiudendo gli occhi.

Ralph esaminò la ferita, poi cominciò a leccare per ripulirla dal sangue e dalla sporcizia, premendo coi denti per spremere fuori il pallino da caccia. Pedro latrò e scattò, d’istinto per azzannare Ralph ma si trattenne. I due si fissarono per un lungo istante, poi Pedro si accucciò torcendo il collo per resistere alla tentazione di reagire di nuovo, raspando con le zampe e mordendo un tronchetto. Ralph riprese a scavare coi denti sul pelo grumoso, rosicchiando la carne viva. Pedro resistette un poco, poi scattò e corse via uggiolando. Ralph sputò il grumo, l’annusò e con la zampa scoprì il pallino.

“Bravo cane” disse Bolly. Era sincero. Non c’era scherno nel suo uggiolio. “Però devo dirtelo, se vuoi diventare capobranco, devi scegliere meglio quali culi leccare”

Ralph sbuffò ma la battuta lo divertì. Sedette a scaldarsi al sole e Bolly fece altrettanto. Stavano dorso contro dorso, urtandosi le code di tanto in tanto quando scodinzolavano.

“Non sarei un buon capobranco” disse Ralph “sono un vigliacco”

“Un randagio lo è sempre meno di un cane domestico”

“Per voi sono ancora un cane domestico”

“Se ti levassi quel collare… posso rosicchiarlo, l’ho già fatto altre volte. Ho tolto io il collare a Pedro quando è arrivato”

“Allora dovresti essere tu il capobranco”

“Godo troppo a stuzzicare gli altri, cosa che un capo non dovrebbe mai fare. C’era un capo, nel posto da dove vieni?” chiese Bolly.

“Non lo consideravo il mio capobranco” disse Ralph “avevamo tutti un padrone. Non puoi fare il capobranco se hai un padrone, se c’è chi può metterti un guinzaglio e urlarti addosso davanti a tutti gli altri. Bertuccio lo sapeva, ed io gli stavo sulle palle perché ero l’unico a capirlo”

“Bertuccio? Doveva essere una belva”

“Come lo sai?”

“Altrimenti chi l’avrebbe rispettato, con un nome così?”

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