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12. La Trasferenza

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Hydroid giunse alla Gran Torre Orokin che era ancora notte e attraccò alla piattaforma accanto ad una navetta Mantis verniciata d’un rosso sgargiante.

“Alla buon’ora” disse Volt, sdraiata su un mucchio di casse a fissare il cielo “pensavo non saresti arrivato più”

“Che cosa ci fai qui?”

“Sono venuta a darti man forte, non sono mai stata sulle Piane e vorrei vedere un Eidolon”

“Credimi, non vorresti”

“Sì invece”

“Ti ha mandata Vauban?”

“Chi? Mister so-tutto-io? Non è l’unico a saper fare due più due, non ci sono molti posti sulla Terra dove nascondersi, almeno finché i nostri grandi strateghi non si decideranno a far fuori Vay Hek. Ho già fatto il giro del villaggio, c’è una gran puzza di pesce, è così anche di giorno? Ma certo che sì, chissà sotto il sole quanto puzzeranno quelle catapecchie. Ah, ho anche conosciuto un vecchio con la faccia da pesce lesso che mi ha fatto un sacco di salamelecchi, e guarda, ho comprato questo aggeggio per scavare nella roccia, cioè non l’ho proprio comprato, l’ho preso in prestito da un bazar, vorrei portarmi via una pietra come souvenir, una da mettere al collare del mio cucciolo di kubrow, si chiama Vicky, la vuoi conoscere? Stavo pensando di portarla con noi nelle Piane. Frost non fa che mandarmi a sabotare astronavi, non ci sgranchiamo le gambe all’aria aperta da… oh, saranno almeno due giorni!”

“Dammi respiro” disse Hydroid. La logorrea di Volt era difficile da sopportare, specie per un esule.

“Come vuoi Hadry”

“Non chiamarmi così”

“Devo chiamarti davvero Hydroid? Come può qualcuno volersi sentir chiamare così? Va bene, niente Hadry, solo Hadrian, o solo H. che ne dici? Un po’ difficile da pronunciare visto che la acca è muta”

“Valery!”

“Ok, scusa scusa, dimentico che te ne sei venuto qui a fare l’eremita con India, non esattamente una chiacchierona. Riposati le orecchie, io ti aspetto al cancello. Vicky-Vicky! Andiamo bella!”

Hydroid fissò il cancello della zona d’attracco per due secondi, poi corse verso il bordo della piattaforma e si buttò di sotto, atterrando direttamente in acqua dove si dissolse e turbinò rapido fino alla spiaggia per poi strisciare priva di forma fino al cancello, dove si ricompose un attimo prima dell’arrivo di Volt, che lo guardò interdetta.

“Come accidenti hai…”

“Ti ho appena dimostrato che non sei la più veloce della galassia” la stuzzicò Hydroid “perciò adegua anche la parlantina a questa ritrovata lentezza”

I due varcarono la soglia della galleria d’accesso alle piane seguiti dagli occhi luccicanti degli Ostron nascosti negli angoli bui del bazar e della scogliera.

“Sono sempre così inquietanti?” disse Volt.

“Solo quando li svegli nel cuore della notte, e quando vedono troppi Warframe nel giro di un paio d’ore”

Il cancello si chiuse e il kubrow si piazzò in ferma ringhiando alle pareti. Una scarica di elettricità statica le fece rizzare tutto il pelo dandole un buffo aspetto obeso.

“Buona Vicky. Hadrian, cos’è questa scarica? Tipo una centrifuga gravitazionale?”

“Tipo”

“Hai capito gli ostronzetti, hanno un bel sistema di difesa”

“Ancora per poco temo” disse Hydroid.

“Pensi che la Torre possa collassare? Ho fatto il giro delle stanze, ho percepito un’enorme energia, sottoterra dev’esserci un vecchio reattore sepolto, sai, di quegli incrociatori Orokin degli inizi della guerra, dev’essere da lì che prendono tutta l’energia. I reattori Orokin hanno una decadenza stimata in quattro o cinquecento anni, ma danneggiato e senza manutenzione, sepolto, magari è pronto a tirare gli ultimi”

Il cancello opposto alla galleria si aprì e i due sbucarono nella grotta. “Forse non sarebbe un male, senza la Torre i Grineer non avrebbero più motivo di occupare le Piane”

“Hadry, non ti ricordavo così cinico”

Un suono mugghiante scosse le rocce facendo cadere scie di terriccio animate da un debole vapore azzurro.

“E’ a meno di cinquecento metri” disse Hydroid.

“Un Eidolon? Posso essere lì in sette secondi”

“Dobbiamo trovare Ivara, il tuo cane può rintracciarla?”

“Certo che può, vero Vicky?”

Il kubrow abbaiò fiero, poi annusò il polso della padrona e un rapido flusso dati si mosse dall’una all’altra, il collare del kubrow scintillò un istante e come attirata da un fischio la bestia corse fuori dalla grotta.

Albeggiava. Hydroid si guardò intorno, non c’erano segni visibili di distruzione ma in lontananza qualcosa era cambiato: il corno d’una vecchia ferraglia Orokin era stato piegato, gli strati ossidati abrasi offrivano al sole una superficie riflettente che attirava i condroc incuriositi. Hydroid rabbrividì all’oscuro presagio di quegli avvoltoi svolazzanti in cerchio, come in cerca d’una carcassa con cui banchettare.

Volt era già lontana, correva dietro al kubrow eccitato da quell’esplosione di nuovi odori sconosciuti, marcando il territorio. Hydroid si allontanò leggendo gli impercettibili cambiamenti sull’orizzonte delle Piane, imboccando presto la giusta via per il campo dove s’era consumata la battaglia. Stava già esaminando i corpi dilaniati dei Grineer quando il kubrow giunse finalmente a fiutare le tracce di Ivara.

“Sembra che Indy se la sia cavata bene” disse Volt.

“Questi non li ha uccisi lei”

I resti dei Grineer erano ustionati dalle radiazioni ed emanavano ancora una carica azzurrastra d’energia Void. Alcuni erano stati divorati dagli sciami d’insetti vomvalyst, altri erano impastati col terreno squarciato da profondi solchi. Hydroid balzò in cima ad un cumulo di rocce e tese il braccio ad indicare la linea irregolare tracciata da quei solchi. “Questa squadra veniva da ovest, l’Eidolon da nord est” Hydroid si voltò, tese le braccia a tracciare idealmente la rotta percorsa dal gigante “è uscito dal fiume più o meno in quella zona. I Grineer sono arrivati in forze, la battaglia è stata lunga”

“Sono le orme di un Eidolon?” chiese Volt, eccitata “quanto sono grandi esattamente?”

Hydroid sciolse i tentacoli dalla propria schiena cercando di punteggiare i punti d’impatto delle armi pesanti. “Da poche decine di metri ad oltre cento. Dai colpi di mortaio che ha lasciato, questo doveva essere uno di quelli più piccoli”

Poco più a valle lo scempio dell’esercito Grineer era uno spettacolo agghiacciante perfino per Volt, abituata a massacrarne in quantità. Ma lei era solita attraversare il campo di battaglia a velocità supersonica, uccidendo senza mai doversi guardare indietro, e muovendosi negli spazi angusti di astronavi, fabbriche o gole rocciose di rifugi sperduti in crateri di asteroidi. Non era abituata a tornare sui suoi passi e vedere i segni della distruzione, e ancor meno in uno spazio aperto sconfinato, con l’enormità del cielo a farla sentire piccola e quell’impasto di terra e membra a dare un aspetto così orribile al campo di battaglia. Nemmeno il vuoto cosmico trasmetteva una simile angoscia, i detriti di un’astronave esplosa si disperdevano inghiottiti nell’oscurità e si facevano presto invisibili, anche perché lo spettacolo si osservava a distanza, col pensiero già rivolto al prossimo obiettivo. Sulla Terra tutto era diverso, dal campionario di odori di morte alla vastità delle Piane, e per un’eternità di qualche minuto, Volt rimase in silenzio.

“L’Eidolon ha attaccato spedito in quella direzione, attirato dal fuoco dei Grineer” Hydroid diede le spalle al campo di battaglia e guardò al fiume “se Ivara ce l’ha fatta troveremo le sue tracce in questa direzione”

Volt si scosse. “Non puoi semplicemente rientrare alla base e vedere se è tornata?”

“E’ l’alba, l’Eidolon potrebbe essere appena tornato a dormire, e la regola di notte è muoversi nella direzione opposta alla rotta di un gigante”

“India non potrebbe aver abbandonato il Warframe? In un posto sicuro, una grotta”

“Non lo farebbe mai, e se fosse rientrata avrebbe usato il nostro canale di trasmissione privato. E’ ancora qui in giro, non so in che stato, forse non è in grado di rientrare alla navetta”

“Usate ancora le navette per la Trasferenza?”

“Ti stupisce?”

“Pensavo, che so, a una base sotterranea, o una capanna in quel villaggetto di pescatori, scommetto che ad India piacerebbe. Invece ve ne state chiusi sott’acqua, dico bene?”

Hydroid non rispose.

“Faccio un volo di perlustrazione. Ordis mi senti? Sparami un archwing a queste coordinate”

Prima che Hydroid potesse opporsi il supporto alare piovve dal cielo come un famelico rapace meccanico che avvinghiatosi alle spalle di Volt la tramutò in qualcosa di spaventoso e al contempo angelico: le ali si spiegarono mastodontiche e in un istante la si vide schizzar via oltre la barriera del suono.

“Riuscisse una volta a stare ferma due minuti” disse Hydroid, il kubrow lì accanto abbaiò come a dirsi d’accordo. Il kubrow mostrava la stessa incontenibile frenesia della sua padrona, e lo si vedeva correre da una parte all’altra, guadando il fiume ancora e ancora.

Hydroid seguì a ritroso le orme dell’Eidolon, avvicinandosi al punto in cui era uscito dal fiume. La terra sollevata dal corpo del gigante si sovraccaricava di radiazione Void assumendo una consistenza plastica e simile alla creta, percorsa da milioni di riflessi di quarzo. L’impasto sembrava avere vita propria, una vita che andava spegnendosi ora che il sole si alzava, facendo perdere tono e consistenza alla massa e sgretolando il fango in una cenere azzurrina. Hydroid tastò la poltiglia: gli Ostron erano soliti impastarla con le loro esche per attirare i pesci, ma funzionava solo alle prime luci dell’alba, prima che la radiazione solare uccidesse quella Void. In lontananza scorse due pescatori, difficile capire se si trattasse di spie venute a studiare i movimenti dei Warframe dopo una giornata di agitazione, o se fossero solo i più miserabili spinti dall’estrema necessità.

I due Ostron fuggirono alla vista del kubrow ma Hydroid li raggiunse rapidamente, e li reclutò per partecipare alla ricerca di Ivara. Quando riuscì a spiegargli che la loro dea della caccia aveva affrontato un Eidolon e che poteva aver bisogno d’aiuto, i due si produssero in espressioni di meraviglia e sgomento, poi si decisero a partecipare alla ricerca. Hydroid trovò finalmente resti di Grineer trafitti dalle frecce di Ivara, di lì a poco le urla dei due Ostron si fecero concitate, piene di terrore, poi li vide fuggire.

Volt planò richiamata dagli ululati del suo kubrow, i cui latrati venivano da una radura coperta da un mucchio di rocce.

“Vicky, dove sei?” chiamò Volt “deve aver trovato una delle sue frecce occultanti, ma non sento l’Affinità, non siamo ancora vicini”

Hydroid scosse la testa e non disse nulla, si rannicchiò su se stesso e dalla schiena fuoriuscirono lunghi tentacoli, il mosse lenti come lingue di serpente ad assaggiare l’aria, e finalmente ne vide uno sparire sotto la bolla occultante. Hydroid si sciolse in un sottile strato acquatico, rimestò nel terreno e finalmente trovò il corpo di Ivara. Avvolse il corpo invisibile coi suoi tentacoli fino al petto, dove percepì una freccia conficcata, la estrasse e la spezzò.

I due Warframe apparvero sotto gli occhi attoniti di Volt.

“Hadrian, non sento l’Affinità”

“E’ ancora viva” disse lui, prendendo in braccio il corpo inerme di Ivara che ebbe una contrazione, come un colpo di tosse, poi tornò immobile. “Si è piantata addosso una freccia occultante per nascondersi” i barbigli acquosi della sua barba tentacolare fremettero come desiderosi di carezzarle il viso.

Volt posò una mano sui morbidi lembi dell’elmo-cappuccio di Ivara e si convinse: “ha forzato la Trasferenza per salvare il Warframe”

“Forse non l’ha fatto di proposito, deve aver assorbito la radiazione di chissà quanti impulsi dell’Eidolon. Dobbiamo riportare il Warframe alla navetta e disconnettere India. Dammi le tue ali”

Volt non esitò e l’ala archwing passò da una schiena all’altra come un ragno servile, facendo schizzare Hydroid verso l’oceano, volò radente al pelo dell’acqua sollevando una cresta di spruzzi poi si sganciò e si dissolse avvolgendo Ivara in un bozzolo, turbinando in profondità fino alle navette adagiate sul fondale come mante in attesa della preda. Hydroid forzò la massa del proprio corpo fino alla soglia di rottura, invadendo la navetta coi suoi tentacoli per controllare fisicamente i comandi mentre cercava di rianimare Ivara.

La navetta schizzò fuori dall’oceano e planò rovinosamente sulla spiaggia. Volt raggiunse i compagni in un battito di ciglia: Hydroid era una massa acquatica informe, il corpo ridotto a un ammasso di tentacoli intorno al baccello di Trasferenza mentre cercava di aprirlo. “India!” gridava, e ripeteva il suo nome ancora e ancora. “Ho riportato Ivara sulla nave, puoi interrompere il collegamento”

“Non possiamo aprire il baccello dall’esterno” disse Volt.

Hydroid ritirò i tentacoli e s’inginocchiò, ci fu lampo ed il corpo del piccolo Hadrian uscì dal plesso solare del Warframe. Volt lo guardò un istante con affetto, non era cresciuto molto negli ultimi due anni, ed anche Valery non resistette ad uscire dal proprio Warframe per andarlo ad abbracciare.

“No!” disse Hadrian, la determinazione toglieva al volto ogni espressione infantile “tu mi servi come Volt, devi sovraccaricare il baccello”

Hadrian pose la sua mano, minuscola al cospetto del Warframe, sul petto di Ivara, là dove i naniti non erano riusciti a curare la ferita lasciata dalla freccia, e da quel minuscolo foro il bagliore d’energia Void sembrava chiamare aiuto per l’anima della bambina pronta a spegnersi.

“Dammi il segnale” disse Volt “darò lo shock al baccello”

“Devi usare la tua scarica massima” disse Hadrian.

Volt si avvicinò al baccello, quell’involucro nero e affusolato capace di proteggere i Tenno e i loro fragili corpi di bambini da qualsiasi cosa, tranne che dall’energia Void che li percorreva come invisibile linfa cosmica capace di viaggiare attraverso il tempo e lo spazio, e che adesso rischiava di uccidere la piccola India, intrappolata in un ponte invisibile tra la carne del corpo umano e l’acciaio del Warframe.

“Potrebbe morire” disse Volt.

“Potrebbe morire mentre aspetto e non faccio niente. Preferisco correre il rischio e tentare di salvarla”

Volt annuì, raccolse tutta la sua energia e la fece esplodere in una scarica accecante. I fulmini guizzarono come anguille rimbalzando per la stanza, attorcigliandosi sul baccello di Trasferenza. Hadrian spinse il palmo della mano sul petto di Ivara con tutte le forze, le dita piegate all’indietro come pronte a spezzarsi, l’energia Void gli scorreva dal cuore alle ossa in un dolore lancinante. Il baccello esplose, Volta cadde a terra svuotata d’ogni forza ed il corpicino di India trasfigurò cadendo tra le braccia di Hadrian.

Valery uscì dal corpo di Volt e cadde in ginocchio, senza fiato: il viso di India era incorniciato dalle nere ciocche dei capelli impregnati di sudore, le labbra screpolate e gli occhi iniettati di sangue per l’eccesivo sforzo d’una notte nelle Piane. Hadrian la strinse a sé, il volto di bambino tirato e invecchiato riacquistava giovinezza al gentile tocco delle labbra sulla fronte di India.

Valery cercò di dire qualcosa ma le uscì appena un sussurro, e l’istante dopo aveva bisogno d’aria nei polmoni. Si strinse anche lei all’abbraccio, e guardando sullo specchio d’acqua dell’armatura di Hydroid i loro tre corpi di bambini fragili e minuti, si abbandonò al pianto.

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