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Stai leggendo: "Il Gigante Buono" di Quinto Moro

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2. Il candidato

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L’indomani mattina una delegazione di Democrati, sopravvissuti all’attacco perché si trovavano a festeggiare per le strade anziché a lavorare in municipio, giunse di buon’ora al cospetto del Gigante insieme ad una delegazione di giornalisti fidati. Spiegarono che in un giorno di lutto come quello, era bene dimostrare un po’ di tatto ed evitare di dormire fino a tardi, e il Gigante che era avvezzo alla vita pubblica da ormai tanti anni non ebbe nulla da obiettare, anche se rifiutò di commentare l’attacco per rispetto delle vittime, ma fu costretto ad accettare la protezione dell’esercito perché capiva che il popolo adesso voleva sapere che il suo gigante era al sicuro e in salute. Anche perché s’era a pochi mesi dalla nomina del nuovo Capo della Nazione, e quel gigante buono e affabile, sembrava improvvisamente una scelta non più così pazza come qualche mese prima.

Durante le centinaia d’interviste che negli anni aveva sostenuto, il Gigante s’era sentito rivolgere sempre più spesso domande sulla possibilità di diventare un giorno il Capo della Nazione: la gente lo amava, era orgogliosa di lui e del fatto che un simile prodigio potesse essere la prova dell’amore di Dio per la loro Nazione.

Nei giorni seguenti all’attentato il Gigante fece delle lunghe consultazioni coi Democrati, che orfani di tanti validi elementi ed alle prese con un popolo ferito e arrabbiato, decisero di sostenere apertamente la candidatura del Gigante a nuovo Capo della Nazione. Se prima di quel giorno erano tanti gli ammiratori e quanti i dubbiosi, dopo l’attacco del Nemico ci furono pochi dubbi sul fatto che il Gigante Buono fosse la scelta migliore. I dubbi dell’uomo comune riguardo al Gigante erano semplici e molto sensati: come si poteva mettere un uomo di tale sproporzionata grandezza nella sede del Governo, o in qualunque altro ufficio della Nazione, quando con la sua stazza e il suo peso avrebbe potuto schiacciarli? Quando il Gigante camminava in parata per le strade della Capitale, tutto il traffico andava in tilt per ore, e si doveva rifare il manto stradale. Quando poi parlava al cospetto degli altri Democrati, la sua voce tuonava più alta e forte di tutte le altre, tanto che se fosse stato un uomo rozzo e arrogante avrebbe potuto parlare sopra le voci di tutti gli altri, senza che si potesse far nulla. Essendo un gigante buono però il problema non s’era mai presentato, se non in rare occasioni.

Queste preoccupazioni di ordine pratico scomparvero rapidamente nei giorni seguenti l’attentato, almeno nei cuori dei cittadini comuni. I dubbi degli uomini più riflessivi riguardavano invece la bontà del Gigante e la sua scarsa esperienza, in considerazione dei suoi trascorsi politici e professionali. I detrattori non mancavano di far notare come il Gigante fosse un grand’uomo per stazza più che per talento, e non aveva fatto molto nella sua vita se non andare in giro e crescere esponendosi sempre più – volente o nolente – alle attenzioni del popolo. Certo fu clemenza dei più maligni tacere questi vecchi dubbi nel momento di lutto della Nazione, non sarebbe stato di buon gusto proprio ora che il popolo ferito voleva sentirsi protetto dal suo mastodontico e invincibile rappresentante.

Nelle settimane che seguirono la storia dei dubbi e delle antipatie – perché era naturale che uno come il Gigante Buono, sempre esposto agli onori delle cronache, suscitasse anche tanta invidia – furono ribaltate una dopo l’altra.

Il Gigante non veniva più chiamato col suo nome di battesimo, un po’ perché un nome ordinario mal si sposava con quella figura così straordinaria, un po’ perché lui stesso ci aveva rinunciato in virtù di quell’appellativo ben più affascinante. Il Gigante era stato una volta un uomo di media statura, anzi al di sotto della media, e sul suo fisichetto i caratteri fisici ispiravano tutt’altro che grandezza, dalla pancetta sporgente alla faccia piccola, da topolino spelacchiato, perché aveva perso i capelli presto e quelli rimasti riccioluti e ispidi gli davano un’aria tutt’altro che elegante. Da Gigante, la sua figura si era slanciata, i muscoli sviluppati per sostenere il grande peso e persino il volto d’era fatto assai più spazioso e gradevole, suscitando l’invidia degli uomini e l’ammirazione delle donne, e poiché negli anni della sua subnormalità s’era dovuto affidare più alle maniere gentili che al bell’aspetto per fare una conquista, a quella nuova stazza sovrumana si accompagnavano i modi del gentiluomo.

Prima della metamorfosi, anche la vita lavorativa aveva offerto al Gigante ben poche soddisfazioni, non essendo dotato di particolare ingegno e destinato a un lavoro ordinario in cui colleghi e superiori tendevano a confonderlo con qualche pezzo di mobilio, senza prestargli mai particolare attenzione. Ma il futuro Gigante era persona di spirito e gran determinazione, non si era mai lasciato abbattere dalle difficoltà da piccolo uomo, figurarsi da Gigante – parole simili divennero in breve il simbolo della sua campagna di conquista nei cuori già sgocciolanti del popolo. Benché il Gigante non parlasse spesso di quel periodo della sua vita ancora così anonima, si rese necessario per questioni d’immagine, e il Gigante stesso si riscoprì a parlarne con un entusiasmo nuovo. La sua vecchia mediocrità appariva ora una straordinaria virtù che sosteneva con più forza quella grandezza agli occhi del popolo.

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