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Stai leggendo: "Nella Terra dei Cani Pazzi" - di Quinto Moro

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Capitolo 20

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Fu un giorno eccezionale. Bastò solo quel momento a renderlo incredibile. Chissà quale attacco di gentilezza gli era preso, ma Lily si sentì promettere so-len-ne-men-te dal padre che non l’avrebbe più toccata. Mai più uno schiaffo. Non che la picchiasse per divertimento, ma c’erano giorni in cui per casa volavano più i ceffoni delle mosche e di solito coincidevano con gli stessi giorni in cui lui era più gentile. Quando allungava le mani non si poteva mai sapere se nel palmo c’era una carezza o uno schiaffo, si scopriva solo all’ultimo istante. Non era sempre così, anche perché quando Lily si prendeva cura di Andy sembrava ci fosse il tacito accordo di evitarsi. Ignorarsi a vicenda era un bel gioco, lei a fare il fantasma e suo padre a fare la mummia, in una sfida a chi faceva più silenzio. Ormai aveva imparato ad accettare quei cambiamenti d’umore slegati dalla vecchia logica sulla rabbia per i ritardi dalle commissioni e i pasti mal preparati.

Lily si era convinta che su padre avesse subìto un qualche sortilegio, quello di un re bianco malato di nero, come nero o bianco poteva essere il suo sguardo. Nero di uno spintone mentre s’incrociavano sull’uscio di una stanza. Bianco un sorriso dal fondo di un bicchiere appena scolato. Nera la bottiglia vuota che vola contro il muro e i vetri dappertutto. Bianca la mancia per la consegna al negozio di liquori. Nero l’odio nei suoi occhi all’improvviso. Bianco il sollievo di addormentarsi sentendolo russare forte, certa che dormisse profondo.

La promessa fu mantenuta ma non fece svanire il sortilegio. Nei suoi giorni da Re Nero non poteva più incrociarlo per casa senza che la mandasse a sbattere sui mobili o i muri, come Lily fosse un cane pulcioso da tener lontano. Aveva anche spostato il veleno dagli occhi alla bocca, e se ormai non la guardava quasi più in faccia ci pensavano le frasi cattive a farla sentire piccola e insignificante, inutile e sciocca: non contava che pulisse la casa e preparasse da mangiare. Quando per dispetto Lily decise di non preparargli il pranzo lui non si arrabbiò nemmeno, con una telefonata gli portarono ogni ben di Dio, tanto di quel cibo che non sarebbe mai riuscito a mangiare tutto. Mentre si rimpinzava diceva frasi orribili su quel che Lily preparava tutti i giorni, e gettava gli avanzi sul pavimento schiacciandoli perché lei ed Andy non potessero mangiarne. Lily subìto in silenzio, per qualche tempo.

Un giorno il padre se ne stava beatamente sul divano, la faccia appiattita dietro al fondo del bicchiere mentre beveva, sbrodolandosi sul maglione infestato da sbuffi di fumo e polvere bianca. Cosa le aveva detto stavolta? Una parolaccia? O era solo un’occhiata storta? Lily non avrebbe potuto dire cosa l’aveva causata. Gli aveva urlato contro con tutta se stessa, nelle convulsioni dell’ira Lily non riuscì nemmeno a guardarlo in faccia. Avrebbe voluto strappargli le ghiandole velenifere, infilargli le braccia nel petto per controllare se ci fosse rimasto un cuore, e graffiargli il volto per scoprire ch’era solo una maschera e non era lui suo padre.

Quando tutta la furia fu esaurita in una pioggia di lacrime il padre si mise a sedere, la guardò negli occhi con una smorfia e senza scomporsi le ruppe faccia e promessa. La sberla la scaraventò sul tavolino e poi a terra. Le lacrime evaporarono dal volto incandescente di Lily mentre qualcosa pungeva nel petto fin dentro il respiro, chiuso, bloccato.

“Avevi detto che non mi avresti dato più uno schiaffo” sussurrò “lo avevi promesso”

“Piccolina, quante cose non capisci. Le promesse sono fatte per essere infrante” disse rigirandosi la mano sotto gli occhi, istupidito mentre si faceva rossa e lucida.

Lily sentì il collo umido e gocce rosse caderle sulle ginocchia. Nella sberla il padre non aveva lasciato il bicchiere, schiacciandolo tra il suo palmo e il viso di lei. Sanguinavano dello stesso sangue, sullo stesso tappeto, feriti dallo stesso vetro.

“No papà” chiamarlo in quel modo le fece bruciare la guancia per la prima volta “non è vero, io le mantengo”

“Non hai mai dovuto promettere niente a nessuno tu”

“Ho promesso di occuparmi di Andy, e lo farò sempre. Lo proteggerò sempre. Lo difenderò sempre”

“Ci sono cose da cui non potrai difendere neanche lui. Adesso devi andare a farti medicare” il solo dirlo era già un atto di gentilezza ma non c’era apprensione nel tono o nello sguardo. Lui afferrò la bottiglia del whisky e se ne rovesciò le ultime gocce sul palmo ferito.

“Non so dov’è l’ospedale” disse Lily.

“Non puoi uscire di casa sanguinando. Vai da Mona al piano di sopra”

“Quella che puzza di sigarette? Mi odia, mi guarda sempre male”

“Lei non ti odia affatto”

“Tu invece si!” ringhiò incurante del dolore alle guance per ogni parola pronunciata, ed al calore umido che le scendeva sul collo.

“No che non ti odio” fece lui allungando la mano insanguinata e puzzolente di whisky per carezzarla sulla ferita, scrollando un pezzetto di vetro invischiato nel sangue.

“Allora medicami tu. Tu mi hai fatto male e tu devi rimediare.”

Lily si stupì di se stessa, o meglio lesse quello stupore negli occhi del padre. Non l’aveva mai affrontato in quel modo, e se quella di prima era stata una sfuriata bambinesca di pura frustrazione, adesso gli stava davanti senza temerlo, come se il dolore l’avesse anestetizzata. E il padre la prese per mano conducendola al piccolo laboratorio nella stanza da letto, la fece sedere sul materasso e, inginocchiato come in penitenza, la medicò con cura

 
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