Stai leggendo: "Nella Terra dei Cani Pazzi" - di Quinto Moro
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Capitolo 22
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C’era una gran frenesia nell’aria e il piccolo Andy l’aveva percepita sin dall’arrivo degli amici del padre. Dopo una notte passata a leggere, Lily era troppo stanca per badare alle parole grosse che volavano rimbalzando tra uno scoppio d’ira e l’altro, così Andy aveva potuto avvicinarsi alla porta ad ascoltarli, sperando parlassero del resto del mondo.
Andy sentì il cuore battergli forte quando dissero che c’era da far sparire cose e persone, confermando i suoi sospetti sui loro poteri magici. Stavano scegliendo il posto più lontano in cui sarebbero dovuti andare, se l’America o il Giappone, se l’India o l’Australia. Tra tutte le urla emersero presto quelle del padre che fece sparire loro, dalla porta principale, con formule magiche d’insulti e bestemmie.
Andy tornò ad infilarsi tra le braccia di Lily per farsi coccolare e tempestarla di domande su quanto aveva sentito, dove e com’erano fatti quei Paesi le cui foto nei libri, ne era certo, nascondevano agli occhi il meglio della magia, lasciandola intuire là tra i massicci montuosi o gli anfratti di grattacieli alti a sorreggere il cielo.
Quando Lily scivolò in cucina a preparare un po’ di caffellatte il sole sorgeva e il padre stava steso sul divano, con una bottiglia di birra in mano e la sigaretta accesa, fissando il soffitto ad occhi socchiusi. Si chiese se era a quello lo stare “sempre in coma” di cui accusava la mamma. Lily l’aveva già visto così alluvionato ma mai con un tale vuoto negli occhi. L’unico segno di vita erano gli sbuffi di fumo dal naso per la sigaretta serrata tra le labbra, con la cenere che gli moriva sul mento. Vederlo in quello stato non la spaventava, ma si stupì di se stessa per il gusto che provò nel vederlo tanto sconvolto e triste, come se sapesse che in fondo se lo meritava, e che tutto il male che aveva fatto a lei e a sua madre – maltrattate e riempite di urla – ora venisse pagato un mucchietto di cenere alla volta. Avrebbe dovuto sentirsi orribile a pensare che suo padre meritasse i guai in cui si era cacciato, ma se i guai erano causati dal lavoro per cui si serviva di lei nelle consegne al negozio di liquori, allora in qualche modo ne era responsabile, tanto da sentire un piccolo moto di soddisfazione. Lui e il suo carattere infido, i suoi modi da freddo e iroso bugiardo, premuroso un momento e scontroso al limite della violenza quello dopo. Quante volte aveva pianto per causa sua? Quante volte Lily aveva fissato il muro con lo stesso sguardo con cui lui ora fissava il soffitto. Ma se davvero stava soffrendo anche lui era in qualche modo umano. Chi non sente niente non soffre, e chi può soffrire non può essere del tutto malvagio. Perché i cattivi non soffrono, fanno soffrire e basta, pensò. Provò tenerezza per lui, solo un istante, prima di lanciare un sorriso al fratellino che con gli occhi brillanti aspettava di vedere sui libri quei posti di cui aveva sentito dagli amici pazzi del padre. Lui così piccolo e refrattario alla sofferenza, ingenuo sino all’ultimo capello di quella testolina piena di magie: non avrebbe mai capito cos’era il male.
Lily divise il latte bollente in sei tazzine da caffè così, disse ad Andy, si sarebbe freddato prima e ci avrebbe messo più tempo a zuccherarle e berle tutte, per ingannare il tempo mentre lei andava in biblioteca. Lily scelse con cura i libri, di quelli grossi e con le pagine enormi piene di paesaggi, con quelle piccole didascalie che Andy avrebbe saputo leggere da solo. Prese tutti quelli che poteva portare e tornò barcollando a casa, dove l’aspettava la porta socchiusa e il divano vuoto.
La sigaretta consumata sino al filtro fumava sulla tappezzeria bruciacchiata del divano. Frammenti di bottiglie e bicchieri rotti stavano ammonticchiati ai piedi dei muri lacrimanti di liquore. Andy sgusciò subito verso i libri fotografici e con quelli viaggiò per tutto il giorno, mentre Lily sfaccendava per ricostruire il soggiorno devastato. Più tardi avrebbe mostrato al fratello come cuocere un atollo: l’uovo sulla padella era proprio come quelle isole del Pacifico, occhi di bue rossastri con l’aureola intorno. In tutte le foto che aveva visto, il tuorlo, cioè l’isola, era sempre verde o giallo sabbia, ma Andy immaginò che dovevano essercene anche di rosse coperte di fiori, papaveri o rose. Rimase ad ascoltare il suono dello sfrigolio che cuoceva sbiancando l’albume al color della neve, zampillando microschizzi d’olio come pulci, o festeggiamenti degli abitanti dell’isola. Ed anche sotto quelle isole doveva esserci qualche fornello acceso, a rendere il mare caldissimo e zampillare fuoco dai beccucci di vulcani.
Divisero l’uovo a metà ed Andy rimase lì a fissarlo con un po’ di tristezza. Quelle bollicine sul bianco sembravano capanne, e non gli piaceva l’idea di mangiarsi un’isola con gli indigeni festanti fino all’attimo prima.
A pomeriggio inoltrato il padre era ancora disperso e Lily chiuse a chiave la porta di casa e della loro camera. Mentre Andy sedeva sul comodino a gambe incrociate come un capo indiano, Lily gli leggeva dei deserti e delle foreste tropicali e negli occhi di entrambi le parole si scioglievano in forme e colori tanto nitidi da poterli toccare a mezz’aria. Non era come nei lontanissimi e rari giorni di scuola, dove la bellezza dei paesi era tutta stuprata dai racconti mai avventurosi di nomi e date e guerre senza fine. Quelle dei romani caput mundi e poi solo caput. Degli inglesi e francesi cani e gatti, degli unni e degli altri. Quelle guerre di cent’anni e di trenta. I campi di battaglia e le croci e le crociate. La scoperta dell’India sbagliata e dell’acqua calda per trasformare l’Atlantico in una gran teiera. Dell’Australia e del signor Cook cucinato in un sandwich. Delle rivoluzioni e le guerre mondiali. Del Giappone fecondato da funghi di fuoco piantati dagli americani, quei tipi tanto pieni di libertà che diventavano ricchi vendendola anche a chi non la voleva. Ed erano le città del Giappone e dell’America le preferite di Lily. In tutte le foto si vedevano grattacieli mostruosamente alti, e le strade affollate con più gente di quanta ne avesse mai vista in tutta la sua vita, anche se era terribile vedere tutte quelle teste adulte senza bambini.
Ad Andy invece piaceva di più quel libro intitolato Oceania. Cercava di leggerlo da solo anche se non sempre ci riusciva, andava in confusione distratto dalle figure e dai suoni di certe parole, per lui tanto belli da doverle ripetere all’infinito. Non aveva idea di cosa fosse realmente l’Oceano e della sua grandezza, per lui era una specie di cielo sceso in terra. Lily avrebbe poi provato a spiegarglielo senza riuscirci, bloccata dal desiderio che tutte le strade sparissero, trasformate in acqua, così da poter esplorare tutto il mondo in barca o in gondola, come in quella Venezia che tanto la incantava. E su quelle gondole e barche Andy ci si vedeva bello fiero, capitano su una canoa tinteggiata di giallo e verde, remando su e giù per le strade a battagliare con pirati e cani pazzi.
Tra gli scaffali più vecchi della biblioteca Lily trovò la palla di un vecchio mappamondo, stipata tra libri di geografia vecchi di un ventennio e forse più. Il bibliotecario stava sistemando anticaglie che gli sporcavano la giacca e lo facevano starnutire per la gran polvere. Lily dovette andare a nascondersi, perché quando il vecchio iniziava a starnutire ne faceva almeno otto o nove di fila, tutti fortissimi, e a vedere come si scuoteva tutto era impossibile non scoppiare a ridere – e lui era il primo a farlo, dopo essersi calmato dagli scossoni.
“Vedo che non leggi più soltanto le favole” fece il bibliotecario strombazzandosi il naso peperonato.
“Mi piace sapere dove si trovano i posti, anche se forse non li vedrò mai”
“Non dire così, non si può mai sapere dove si finirà. Quando avrai la mia età chissà cosa racconterai ai bimbi più piccoli e quanti viaggi avrai fatto. Non ti piacerebbe?”
“Certo che mi piacerebbe!” esclamò quasi con dolore “ma non credo che ne vedrò mai, tutto qui”
“Hai tantissimi anni per vedere il mondo, e non ci vuole poi tanto sai? In un giorno solo si possono vedere posti magnifici, e in un mese si può attraversare la metà del mondo”
“Sul serio?” gli occhi le si illuminarono.
“Si può fare tantissima strada nella vita”
“Ma come si fa a fare tanta strada?” domandò Lily.
“Bisogna solo volerlo”
“Io voglio, e tanto anche!”
“Ci riuscirai, anzi ci stai già riuscendo. I libri sono i viaggi più lunghi che si possano fare, ché non sempre possiamo spostarci con tutto il corpo e andare a vedere le cose di persona. Per chi è troppo vecchio e acciaccato come me, o troppo piccolo come te”
“Io non sono piccola” sbottò Lily.
“Si lo so, non ti devi offendere. Ma sei ancora piccola per fare lunghi viaggi, quelli veri che si possono fare nel mondo. Anche io non sono piccolo, ma sono troppo vecchio per farli”
“Non è vero, secondo me non lo sei”
“Invece si. Ma io l’ho visto il mondo, e adesso i libri mi aiutano a ricordare com’erano quei posti, grandi e straordinari come non ci si immagina neanche da bambini…”
Lily si accigliò, lo sguardo al mappamondo e poi ad un corridoio vuoto della biblioteca. Quel posto le sembrava grande, ma non più come la prima volta. Viaggiare doveva essere così, vedere il mondo che si restringe man mano che si cresce. Ma cosa ne sarebbe stato di Andy condannato a star chiuso in un microscopico appartamento finché Lily non fosse stata abbastanza grande e forte da provvedere a lui, mandarlo a scuola e fargli vedere il mondo?
“Mio fratello non è mai uscito di casa” sussurrò.
“Hai un fratello?”
“Si chiama Andy, ha quasi cinque anni ormai. Sto prendendo questi libri per lui” disse stringendoseli al petto, sfregando il broncio sulla copertina di quello più grosso. “Gli piacciono le foto giganti, così un po’ riesce a vedere il mondo” l’occhio le cadde nuovamente sul mappamondo e allungò una mano per accarezzarlo “lui forse non sa neanche com’è fatto”
“Allora portatelo a casa”
“Posso?”
Il vecchio annuì. “Fagli vedere dove si trovano i posti delle foto, i paesi, le montagne, gli oceani”
“Gli piacciono gli oceani…” disse Lily, e si allontanò col mondo sottobraccio.
Il papà era tornato a casa e se ne stava muto e pensieroso. I sussulti e le agitazioni improvvise erano diverse dal solito: tinte di paura più che di euforia da cricca o nervosismo pre-sbornia, la fronte sudata e gli occhi sbarrati con le ciglia che sbattevano frenetiche. Fumava una sigaretta dietro l’altra camminando in tondo, sedendosi e rialzandosi sul tavolino e sul divano, bevendo da tutte le bottiglie che trovava, comprese quelle vuote. Lily fece rotolare con cautela il mappamondo in camera e diede ad Andy i libri con cui passare il resto della giornata, poi tornò a sbirciare tra le apprensioni del padre.
“Vattene in camera tua!” strillò lui quando s’accorse di come lo fissava, il ruggito era rotto e fiacco, tale da farla obbedire con un retrogusto di soddisfazione. Soffriva? Certo lo meritava. Ma non si voleva cattiva e avvelenata. Non come lui, senza compassione, e si sentì di colpo angosciata. Andò ad infilarsi sotto le coperte e pianse in silenzio, per non contagiare Andy con la sua tristezza. Lui che le picchiettava sui piedi chiedendole di abbracciarlo e leggergli qualcosa, e spiegargli che cosa fosse quella palla verdazzurra. Lily si asciugò le lacrime, l’abbracciò e gli spiegò cos’era il mappamondo. Staccò la spina dai cattivi pensieri dedicandosi solo agli zigzag delle coste e dei mari. Puntò il dito sulla zona verde in cui stavano loro, poi lo fece ruotare all’opposto della sfera scoprendo dove fosse l’Australia. Diede al fratello un bacio sulla fronte e crollò poco dopo, stanca dallo sfaccendare e dalle brutte sensazioni per i mali del padre.
Andy si inorgoglì a stare sveglio più di Lily. Gli capitava raramente di vederla dormire e per un istante si sentì lui il fratello maggiore. Prese un libro e seguendo col dito lesse frasi su frasi, sottovoce per non svegliare Lily. I suoi occhi cominciarono a nuotare nei mari azzurri tra le pagine. Andy fissava una fotografia tanto a lungo da sentirsene trasportare alla festa di colori, il vento sulla faccia tra i picchi d’una rupe e la calura sotto i piedi in una spiaggia australe. Tutto il corpo gli si faceva immobile mentre la testolina crollava verso la pagina, gli occhi incrociati a mettere a fuoco gli ultimi dettagli, poi sbatteva la testa sul libro e ridestandosi girava pagina per tuffarsi in quella dopo, con una foto a piena pagina, tanto grande che non l’avrebbe dimenticata per il resto della vita: la montagna somigliava a quanto di più strano avesse mai immaginato, un posto da maghi e troll il cui nome stesso prendeva in bocca il gusto d’una formula magica. La didascalia parlava di grotte e di antichità, cose di milioni e milioni di anni fa: Uluru. Lo disse a voce alta, aveva un suono magico. Andy fissò la foto ripensando alle parole del padre e dei suoi amici. Sparire. Il posto più lontano del mondo. La Terra dei Cani Pazzi. Viaggiare mangiando semi invece di comprare biglietti. Quei semi che erano reali, perché lui li aveva visti, bianchi e rotondi, sottili come carta, e con quel pensiero cadde anche lui sperando. Nel viaggio. Il viaggio nel mondo lontano.