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3. Il rifugio dell'Invisibile

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Il Warframe non aveva polmoni, eppure il suo corpo fu scosso in modo tale che sembrò tossire in silenzio. Excalibur aveva attraversato il freddo fondale trascinato da una massa informe d’acqua e tentacoli. Ora si trovava sul duro suolo d’una grotta, rischiarata dai riflessi rossi e azzurri dei minerali alle pareti, accesi dal lume tornato vigoroso sui suoi polsi.

“Chi sei?”

Excalibur fece per alzarsi ma una roccia gli esplose a pochi centimetri dall’inguine.

“Stai buono”

Da invisibile, la freccia baluginò rivelando la sua forma, la punta indugiò sulla roccia come una trottola poi in un volteggio prese a guizzare in cerchio, un missile in cerca di bersaglio.

“Non ti sforzare, non puoi vedermi se non lo voglio io, e prima devo decidere se lasciarti vivo. Bada che anche se decido di mostrami, non è detto che uscirai da qui vivo. Anzi, non ne uscirai per niente, siamo a venti metri sotto il livello del mare, schermati da depositi di ferron: non ti troverà nessuno”

Excalibur torse il collo per quanto poteva, stando attento a non muovere il resto del corpo. Riusciva a vedere tra le ombre, perciò chi si nascondeva lo faceva in bella vista. La voce aveva una mascherata inflessione femminile.

“Occultamento avanzato” disse lui.

“Chi sei?” insisté lei.

“Excalibur”

La voce soffocò una risatina. “Oh, questo lo vedo, ma non risponde alla domanda”

“Se decidessi di uccidermi non lasciarmi quaggiù. I Grineer mi stanno cercando”

“Esiste qualcosa che quegli scarafaggi non vadano cercando? Formichine operaie, sempre in cerca, di tesori antichi, di risorse, di Warframe”

“Tu sei un Warframe” disse Excalibur. Non era una domanda. Ciò che lo minacciava non era una forma di vita organica, non emanava odore o calore, benché riuscisse a percepire un poco della stessa energia che gli scorreva nelle braccia, e quella percezione aveva un nome. “Affinità” disse “riesco a sentirla” e allora si rese conto d’averla percepita anche prima, mentre veniva trascinato sul fondale. “Mi hai tirato fuori, grazie”

“Io ti ci avrei lasciato in fondo al mare, adesso parla, chi servi? Vor o Lotus?”

“Non servo nessuno, io non so dove sono e cosa mi sia successo”

“Balle, sai benissimo dove siamo, non nello specifico forse, ma conosci il pianeta”

“Questo è facile” disse Excalibur “Terra”

“Perché facile?”

“La vegetazione, l’ossigeno, l’odore è quello, almeno credo”

“L’odore sì”

La freccia, che svolazzava ancora in cerchi intorno ad Excalibur fece una virata stretta e come un colpo di frusta gli schioccò sulla spalla con suono metallico, per poi tornare a ruotare in cerchio.

“Ti sei appena risvegliato vero? Allora lascia che ti aggiorni: in questo corpo non c’è tatto né gusto, quello che senti sono impulsi elettrici a cui dai un nome” disse la voce “ma non li stai sentendo veramente. Tu non sei davvero qui, sei solo uno spettro con un cervello cibernetico pieno di dati di cui non sa cosa farsene. Riesci a sentirla? Nella testa, quella valanga di di nomi e parole in lingue diverse, non le riconosci finché non le senti e solo allora assumono un significato. Sei un ammasso di hardware con un software di base, un computer che una volta acceso sa di dover caricare funzioni in background, prepararsi ad eseguire servizi nella speranza che qualcuno prenda i comandi e sappia cosa farsene. Capisci cosa voglio dire?”

“No” disse Excalibur. Si guardò la mano e se la portò alla testa, passò il dorso sul petto. “Io sento il controllo”

“Prendiamo spunto dal tuo schianto. Se avessi scelto di buttarti prima di schiantarti… pensa ai sistemi di bordo che sentono i motori che continuano a spingere, il pilota non c’è più ma la navetta pensa: ehi, sto ancora volando. E mentre la quota si abbassa continua a pensare: sono sempre in aria, fin qui tutto bene. Lo pensa a duecento metri, a cento, tutto bene, a trenta, a cinque. Poi si schianta. Capisci la sfumatura?”

“No”

“Sei tu la navetta”

“Io?”

“Ti sto guardando planare. Non ho dubbi che ti sembri di sentire il controllo. Ripetitelo in testa: fin qui tutto bene, fin qui tutto bene…”

Excalibur annuì, poi alzò la testa per cercare il volto dell’invisibile e quel gesto, così spontaneo, così umano, la convinse a farsi vedere. Sembrava un Grineer ma per fortuna non lo era. Il corpo era ben proporzionato ma d’aspetto sciatto. Al centro della testa un unico grande occhio circondato da un cappuccio dai lembi cadenti, e quasi sovrapposta a quell’occhio una mano con le dita tese sulla corda di un arco, la cui freccia era puntata sul muso piatto di Excalibur.

“Ce l’hai un nome?”

“Sì, ma chiamami Ivara, sono una cacciatrice”

Ivara rimise la freccia nella faretra, poi afferrò al volo la prima che aveva scagliato e ancora volteggiava per la stanza. “E tu spadaccino, ce l’hai un nome?”

“Te l’ho già detto. Excalibur”

“E’ come se chiedendo il nome a un pescatore ti rispondesse Pescatore. Ma te lo concedo. Hai una bella zecca ascaris” disse indicando il congegno stretto alla caviglia di Excalibur “Vor ti ha già messo la sua fede nuziale, tempo ventiquattro ore e sarai il suo nuovo giocattolo”

Excalibur afferrò il congegno e una scarica gli fece inarcare la schiena.

“Niente può strappartelo di dosso, il Warframe deve rifiutarlo spontaneamente e per farlo ti serve l’aiuto di un computer Cephalon che possa entrarti nei sistemi lasciando un non meno pericoloso virus autoreplicante di riconoscenza che ti legherà per sempre al tuo salvatore. In alternativa posso provare a staccarti la gamba o potresti provarci da solo, con la tua spada dovresti riuscirci”

“Ho perso la mia spada quando sono caduto in acqua”

Nelle mani di Ivara apparse come d’incanto la spada perduta. “Erano anni che non vedevo una Skana” la fece volteggiare con mano esperta “per quanto idioti i Grineer sanno come costruire armi. In effetti non sanno fare altro, anche se per la maggior parte sono progetti Orokin riciclati” Ivara piantò la spada nella roccia e si allontanò. “Comunque non è a quella spada che mi riferivo, ma alla tua abilità nativa: non ti chiami Excalibur per caso”

Lui si guardò i polsi luminosi, poi fece per estrarre la spada dalla roccia quando la vista gli si offuscò e vide lo sgradevole volto di Capitan Vor ottenebragli la vista e la sua voce prese a rimbombargli nell’elmo: Dove ti nascondi? Excalibur fece guizzare la Skana senza ferire quello ch’era solo un fantasma, poi una scarica infuocata dalla caviglia gl’irrigidì la spina dorsale togliendogli le forze. Sto venendo a prenderti.

“Datti una calmata” disse Ivara “lo puoi vedere solo tu, è nella tua testa e ci resterà finché non togli l’ascaris. Da quanto ce l’hai attaccato?”

“Tre ore fino allo schianto della navetta, non ho la cognizione del tempo dallo schianto ad ora”

“Altrettante. Te ne restano si e no diciotto, la connessione si farà sempre più forte, i sistemi andranno in crisi uno dopo l’altro, perderai lucidità, gli scudi si disattiveranno e la capacità dei naniti di curare le ferite svanirà del tutto. A Vor serve il tuo corpo, non la tua mente, per quel poco di mente che puoi avere adesso… anche fatto a pezzi per lui vali qualcosa. E a proposito, prima scherzavo, staccarti la gamba non sarebbe la soluzione, l’ascaris infetta i naniti al contatto e se il Warframe non rigetta spontaneamente, se te lo strappi con la forza, i tuoi sistemi collasseranno all’istante”

“Allora devo trovare un Cephalon”

“Sulla Terra non ci sono Cephalon, a meno che qualcuno non ce lo porti. Lotus manderà i soccorsi, nel qual caso devi levarti dai piedi e scordarti di armi vista, anche se ucciderti adesso risparmierebbe un sacco di guai a tutti, te compreso.”

Excalibur si guardò i polsi, la linea lucente era meno frastagliata, il flusso di energia stabile e sapeva di poter estrarre la spada. Tuttavia quella risonanza tra sé e la sua ospite, l’Affinità, gl’impediva di considerarla una minaccia.

“Senti” disse Ivara “non so se sei solo una ferraglia vuota o se da qualche parte hai una coscienza, ma lascia che ti dica una cosa: tu sei un modello fatto in serie, il più comune, niente di speciale e non è per criticare ma un dato di fatto. E siete così comuni perché i più facili da controllare, capacità e poteri limitati, meno rischi per le truppe in caso di ribellione, l’ideale per le smanie di controllo di Vor”

“Tu invece?”

“Se Vor avesse trovato un Warframe con le mie capacità, l’avrebbe distrutto senza pensarci due volte. Uno schiavo che può diventare invisibile non è il più rassicurante del mondo. Tu invece sei nato per essere usato, non per avere una tua identità, puoi aspirare ad essere un servo di Vor o di Lotus. A proposito, hai sentito la sua voce nella tua testa? Dal tuo risveglio intendo, hai visto il suo volto?”

“No. Non ho idea di chi sia”

“In pochi ce l’hanno” disse Ivara “ma se non hai ancora sentito la sua voce… non sa che ti sei risvegliato, perciò nessuno verrà ad aiutarti e l’ascaris farà il suo corso. Solo Lotus potrebbe mandarti un Cephalon in tempo”

“E tu puoi aiutarmi a contattarla?”

“Onestamente” Ivara si fece invisibile e la sua voce più lontana “non ne vedo il motivo”

Un gorgoglio si animò dal fondo della caverna e una massa d’acqua emerse in forma globulare e strisciò sulle rocce. “Aspetta” disse l’acqua “Ivara!”

La cacciatrice rimase invisibile. “Ho preso la mia decisione tanto tempo fa”

L’acqua prese forma umanoide e crebbe nelle fattezze di un guerriero, le gambe robuste avvolte in cosciali di rivoli d’acqua che risalivano sul torace per poi cascare nella forma delle braccia. Il volto era un’ombra scura da cui pendeva una barba tentacolare e l’elmo aveva forma di tricorno, come i capitani degli antichi vascelli pirata.

“Noi abbiamo preso la nostra decisione” disse il guerriero d’acqua “ma negargli l’aiuto significa decidere al suo posto, ed è tutto ciò che disprezziamo”

Ivara riapparve dirimpetto ad Excalibur, il tono furente: “non sappiamo nemmeno se questa cosa sia viva o meno”

“Come non lo sapevamo noi al nostro risveglio, e abbiamo visto, vissuto e giudicato. Io non gli toglierò quest’opportunità”

“Fa come ti pare” disse Ivara, e si rifece invisibile.

“Come sempre” rispose il guerriero d’acqua, poi la sua massa si gonfiò inglobando Excalibur e trascinandolo via, di nuovo giù, in fondo al mare.

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