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Stai leggendo: "Nella Terra dei Cani Pazzi" - di Quinto Moro

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Capitolo 4

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Un giorno, dopo i molti tutti uguali dei primi tempi a scuola, la maestra era fuori dall’aula e i compagni impegnati a dirsi parolacce e pasticciare la lavagna, così Lily aveva potuto rovistare nel cassetto della cattedra. Sotto le esercitazioni degli alfabeti storti e delle parole in stampatello e corsivo trovò i disegni del compito sulla casa. Sebbene orgogliosa di avere una casa diversa dagli altri, a Lily non piaceva più disegnarla da quando la maestra non aveva capito niente dei colori che aveva usato, né sembrava soddisfatta della descrizione. Ma Lily era stata sincera tanto nelle matite quanto nell’inchiostro, perché le pareti anziché bianche erano ricoperte da una carta da parati giallognola, consumata e stracciata in certi angoli, gonfia e macchiata d’umidità in altri. Tirando via lo strato superficiale si poteva riscoprire la vecchia tappezzeria con tante tonalità di verde azzurro e rombi neri una o due spanne di distanza uno dall’altro, e lei da piccola si divertiva ad unirli in linee curve rosse e viola. La nuova tappezzeria li aveva coperti tutti e quando anche la nuova era divenuta vecchia, poteva sbucciarla e riscoprire ritratti di figure impresse nei colori a cera e pastello. Sembrava un collage di cortecce d’albero, ciascuno coi suoi nidi di scoiattolo o finestre per altri mondi. I dettagli c'erano tutti ma per la maestra era solo un gran pasticcio.

I disegni degli altri erano tutti uguali, con le figure di porte e finestre e genitori e figli galleggianti su sfondi bianchi, e le descrizioni erano solo liste di quel che c’era nelle stanze. Sembrava che tutti avessero fatto a gara per riempirle tanto, case-scatole tanto più piene quanto più lo spazio intorno era bianco e vuoto, sovrastate da una sottile striscia di cielo a margine alto del foglio.

I compagni stavano nei margini e facevano tutto con linee dritte mentre Lily disegnava fuori dai bordi con curve blande e ampie. Le piaceva mescolare i colori uno sull’altro perché il rosso non era mai soltanto rosso e il blu mai soltanto blu, mentre gli altri non vedevano che la metà dei colori e forme del mondo. Lily pensò che c’era chi stava peggio di lei: anche se la sua casa era piccola, non l’avrebbe cambiata con una tutta piena di stanze in quello spaventoso nulla di pareti bianche.

Lily non capì il motivo dell’ira della maestra quando, tornata in classe con il fiato che puzzava di sigaretta, la vide sfogliare i disegni. La sgridò scrivendole una nota sul quaderno. Nonostante fossero appena all’inizio della scrittura in corsivo Lily riuscì a leggere e capire tutto, accorgendosi che quel che aveva scritto non era affatto vero, così strappò la pagina e imitando la calligrafia riscrisse la nota con le opportune modifiche. Quando la mamma la lesse non capì la necessità di firmare l’avviso, ma lo fece senza troppe domande. L’indomani la maestra controllò la firma e, con smorfia di soddisfazione, annuì senza rendersi conto che non era la stessa nota scritta da lei. Così Lily capì che non erano solo i suoi compagni a vedere la metà delle forme e dei colori del mondo, anche certi grandi non erano dei fenomeni, sempre pronti a rimproverare i bambini d’essere distratti. Forse, pensò Lily, volevano essere gli unici ad avere la testa tra le nuvole.

Non capiva il perché di quell’ossessione della maestra per la descrizione di case e famiglie, e di quel che lei e i suoi compagni facevano nel tempo libero. Questa storia del tempo libero a Lily era sempre sfuggita: come poteva essere libero il tempo, chiuso nel tic tac degli orologi e nei numeri di sessanta secondi per sessanta minuti per ventiquattro ore sette giorni la settimana? “Il tempo libero è quello che trascorrete quando non siete a scuola” le spiegò la maestra. Dunque se il tempo fuori da scuola era libero il tempo dentro la scuola non lo era. Allora la scuola era una prigione, ma per i bambini o le maestre? Magari più per loro che erano sempre annoiate e stanche e forse chiedevano tante descrizioni ai bambini perché le loro vite non erano tanto interessanti. O perché certe cose non riuscivano vederle.

Un’altra cosa che Lily non capiva era la storia dei voti. Quando Lily descrisse il suo soggiorno ricevette un’insufficienza. Era una stanzetta ancor più piccola della cucina dove mangiavano, con una piccola finestra da cui si vedeva il muro di fronte e solo un pezzetto di cielo, un divanetto per due persone e poltroncine foderate, una rossa e una color caffellatte, dai tessuti vellutati con qualche buco di sigaretta sui braccioli dove il padre era solito tenere il posacenere. Ma alla maestra quel soggiorno non doveva proprio piacere. Lily non aveva fatto errori di grammatica, aveva riempito tre pagine mentre tutti gli altri compagni a malapena una. Ma forse la maestra si era annoiata a leggere così tanto e pensò che il cervello dei grandi fosse più limitato e fragile di quello dei piccoli, perché loro vogliono tutto facile. Loro, i grandi, volevano vedere tutti i bambini e le bambine con grembiulino e coccarda di colore diverso per ogni classe, per identificarli subito e non doversi ricordare le età di ognuno, né per vedere i colori che nascondevano sotto quel brutto saio nero. E forse volevano che i bambini fossero tutti uguali perché avevano occhi difettosi e cervelli piccoli, con poco spazio per i dettagli.

Lily prese un altro brutto voto quando la maestra aveva chiesto agli alunni un tema sul loro spettacolo preferito. Lily s'era data un bel da fare a descrivere di come la nonna iniziava il suo spettacolo in silenzio, tessendo a maglia il sipario rosso da mettersi poi a mantella sulle spalle, ma il vero spettacolo iniziava, anziché all'aprirsi, al chiudersi del sipario sul suo seno, con le braccia che spuntavano come zampette ad aprire il grande libro. La nonna era una grandissima attrice, maestra nelle voci dei personaggi delle fiabe, gesticolando di quando in quando con una mano nel lume azzurrognolo dell'abatjour, a mimare l'incantesimo d'un mago o la spadata d'un gladiatore. Cantava in rima e ben intonata le filastrocche, stringendo le labbra a muso di coniglio per fare il soffio del vento o l'ululato di lupi ed orchi. Ed era uno spettacolo che anche la mamma aveva imparato a mettere in scena, almeno quando non era sempre in coma, come gridava il papà. E in quello spettacolo c’era ogni volta una storia diversa, con qualche replica sulle preferite di Lily.

Anche quella volta aveva scritto più dei suoi compagni e senza errori, di questo era certa, ma la maestra si era di nuovo arrabbiata perché non aveva rispettato la consegna.

"La vostra compagna non ha capito niente" aveva detto davanti a tutta la classe "spiegateglielo voi cosa doveva fare perché io ci rinuncio"

Lily aveva così appreso che quello da raccontare doveva essere uno spettacolo televisivo.

"E se uno non ha la televisione a casa?" aveva chiesto Lily.

"Adesso, non dire stupidaggini" replicava la maestra "tutti ce l'hanno"

"Io invece no"

Lo scoppio di risa fu fragoroso. Lily aveva detto una piccola bugia, perché sapeva che in camera dei suoi genitori il televisore c'era, ma non l'aveva mai visto funzionare e il papà lo usava per sedersi quando lavorava alla scrivania coi suoi alambicchi. Ma di questo Lily non poteva parlare, anche perché una tv-sgabello le avrebbe procurato solo risa più forti. La tv l'aveva sì vista qualche volta, di sfuggita a casa dei nonni tanti anni fa, e dalle vetrine di un negozio, ma non le mancava. E visto che i compagni non parlavano d'altro, facendo a gara tra chi aveva più cose apparse in pubblicità, le era venuta a noia senz'averla ben conosciuta.

Se n'era dunque rimasta muta ad ascoltare gli altri compagni leggere i loro compiti, ed era un'eccezione, solo perché tutti potessero dimostrarle come si raccontava uno spettacolo. Metà della classe aveva parlato della stessa identica cosa, così Lily che non voleva ingoiare il rospo, aveva sbottato a voce alta accusandoli di copiarsi a vicenda.

"Non ha copiato nessuno" replicò la maestra "se invece di parlare a vanvera li ascoltassi…"

"Ma parlano tutti della stessa cosa!" l'interruppe Lily.

"E allora?" l'aggredirono i compagni in ordine sparso "ma tu cosa ne sai se non lo guardi?" - "non hai manco la tv"

"Ma che gusto c'è se piace a tutti la stessa cosa?"

"Almeno loro hanno rispettato la consegna"

"Non c'era scritto che doveva essere uno spettacolo della tv" protestò Lily.

"Non serviva specificarlo" disse la maestra "visto che sei l'unica che ha sbagliato forse non sai leggere."

Lily rimase di sasso. Con che tono l’aveva detto! Come fosse l’alunna peggiore di tutta la scuola. Ma anziché umiliata Lily si sentì sfidata. Poteva accettare che le si dicesse di non capire niente, e che parlasse a vanvera, ma non saper leggere? Non poteva sopportare un’offesa simile, e ricordò l'esempio del suo papà, che aveva gridato e ruggito contro uno dei suoi amici perché l'aveva offeso solo per scherzo. Così Lily scattò in piedi e iniziò a leggere il compito a tutta la classe. Scoppiò un bel trambusto con la maestra che cercava di zittirla mentre Lily leggeva a voce sempre più alta. E più la maestra si avvicinava minacciosa più lei si alzava a fronteggiarla, in piedi sulla sedia e poi sul banco. Alla fine la maestra s'era imbrogliata da sola gridando: “smettila di leggere!” E Lily: “visto che so leggere? Sei una maestra bugiarda! E non servi a niente come maestra perché io sapevo leggere anche senza di te!”

L’aula piombò in un silenzio di tomba. Nessuno dei suoi compagni aveva mai sentito una bambina dar del bugiardo a un adulto – una maestra per giunta – né guardandola dall’alto in basso come stava facendo lei, in piedi sul banco.

Lily si guardò intorno, tutti che la fissavano zitti mentre lei stava in piedi, il banco come un palcoscenico: aveva appena trovato un nuovo spettacolo preferito, il suo. Ma non ci furono applausi, solo bisbigli e mugugni, e sul quaderno di Lily la più grossa nota di demerito che si fosse mai vista.

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