Stai leggendo: "Nella Terra dei Cani Pazzi" - di Quinto Moro
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Capitolo 5
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Lily stava seguendo il lume giallognolo, benché la tartaruga mangiaorecchi le avesse detto di non farlo. Il fondale era piatto e senza punti di riferimento, perciò se il delfino salvatore stava al centro del girotondo, Lily doveva capire il percorso della lucciola per poterci arrivare. Ne seguì le orme finché non le vide raddoppiate: camminando in tondo era tornata sui suoi passi ma il cerchio era troppo ampio perché ne intuisse il centro, se doveva dirigersi alla sua destra o alla sua sinistra.
La lucciola era un tenue alone verdastro sull'orizzonte e pensò di raggiungerla di corsa. Correre sott'acqua era come trascinarsi una palla al piede, con un paracadute sulle spalle gonfiato dal vento contrario. Non stava facendo progressi, la lucciola restava lontana.
Lily udì un rumore, lo scricchiolio si ripeteva al crescere d'una bolla sulla sabbia che svelava un bitorzolo giallastro lucido, come un bubbone pronto a scoppiare. Ma non scoppiò, alla base spuntarono labbra madreperlacee e più sotto ancora zampette appuntite.
Lily tirò un sospiro di sollievo, era solo una conchiglia.
"Imbecille!"
La conchiglia l'aveva appena insultata.
"Cosa?"
"Tu"
"Io cosa?"
"Tu, imbecille!"
Lily calpestò la conchiglia rispedendola sotto la sabbia e riprese a camminare, ma zampettando la creatura rispuntò poco più in là, anticipandola di qualche passo.
"Stai girando in tondo, imbecille"
"Lo so" disse Lily.
"Meno male. Sapere d'essere imbecilli il primo passo per guarire"
"Lo so che sto girando intorno, non che sono imbecille" disse Lily.
"Oh, allora non sei ancora sulla via della guarigione"
"L'imbecillità non è una malattia"
"Lo dici solo perché non si può curare, ma fidati" disse la conchiglia "è una bruttissima malattia"
"Che io non ho" fece Lily "devo raggiungere la lucciola. E' lei l'imbecille che gira in tondo"
"Il che fa di te che la segui una…?"
Lily rispedì col tallone la conchiglia sotto terra. "Una che non ha voglia di starti a sentire"
Ma imperterrita la conchiglia spuntò una terza volta, stavolta senza dir nulla, andando spedita a pizzicarle il piede con la zampa più appuntita. Lily fece un indistinto grugnito di rabbia e rimase a saltellare su un piede solo.
"Non c'è di che" disse la conchiglia "in mare non si cammina imbecille, si nuota" e sparì in uno sbuffo di sabbia.
Lily maledì la bestiaccia a denti stretti, e visto che il piede le faceva troppo male per camminare, proseguì a piccoli saltelli su una gamba sola, curvata in avanti. Fendendo l'acqua di testa diminuiva la resistenza dell'acqua sul corpo, andando più veloce.
"Che imbecille a non averci pensato prima" si disse Lily, allungandosi tutta in orizzontale e procedendo come un pesce saltellante, con le braccia lungo i fianchi e il piede punzecchiato a far da pinne.
Aveva quasi raggiunto la lucciola, quando questa sparì di colpo. Lily fece qualche altro saltello guardandosi intorno e si ritrovò col piede sprofondato in una buca di sabbia.
“Smettila di seguirmi”
Non si trattava della conchiglia, la voce era più forte e distorta, come avesse le corde vocali scordate e una trombetta per ugola. Poi Lily vide la sua ombra allungarsi per il chiarore che le sorgeva alle spalle, si girò e vide qualcosa che annaspava nella sabbia. Dalla nuvoletta torbida emersero quattro braccia, attaccate al busto simile a quello di un’ape ingrossato da un gonnellino a sbuffo che nascondeva le ginocchia ma non gli stinchi ossuti e scarponcini consunti e rattoppati. Dalle spalle della creatura spuntavano ali rosa e trasparenti come pelle di medusa e in testa portava un elmetto da dea greca in cima al quale, attaccata ad una molla arrugginita, tentennava una lanterna pulsante d’un milione di lucciole.
“Tu chi sei?” chiocciò l’essere, gonfiando il petto bluastro e facendo spuntare dalle giunture dell’esoscheletro nerissimi aculei da riccio di mare.
“Sto cercando un delfino” disse Lily, cercò di fare un passo indietro ma un piede era piantato nella sabbia fino alla caviglia e l’altro le doleva ancora. Era bloccata.
“Ti ho chiesto chi sei, buffo essere, non chi stai cercando”
“Buffa io? Senti un po’ chi parla… sei la lucciola di mare vero? Mi sai dire dov’è il delfino?”
“Non parlo con gli sconosciuti, perciò non ti dirò niente di me né del delfino se prima non mi dici chi sei”
“Mi chiamo Lily. Adesso mi dici come trovare il delfino?”
“Perché lo vuoi incontrare?” fece la lucciola ritraendo gli aculei, accostandosi per osservarla meglio.
“Mi serve aiuto per tornare in superficie”
“E perché? Non ti piace qui?”
Lily si guardò intorno. Nessuna delle meraviglie viste sui libri che parlavano di mare, niente barriere coralline né pesci variopinti, alveari di spugna e grappoli d’ostriche tra gli scogli. Solo una brutta piana dall’orizzonte indistinto e scuro, tuttavia pensò di non far notare quanto fosse deprimente quel posto.
“Ho bisogno di risalire, tutto qui”
“E perché ne hai bisogno?”
“E perché te ne frega? Devo tornare su e basta”
“Buffo essere e pure scortese. Perché non nuoti anziché disturbare il delfino? Scommetto che non sei capace”
“Non sono un buffo essere!” gridò Lily.
“Si che lo sei. Un buffo essere che non sa nuotare” prese a canzonarla facendo roteare la lanterna che vibrava in ghirigori colorati mossi al ritmo del suo ballo storto. “Bù-ffò és-sére ché non-sà nuò-tà-ré”
“Oh, smettila. Vattene via!”
“Ci puoi contare che me ne vado. Addio buffo essere.”
La lucciola voltò le spalle, sciolse la cinta lasciando ricadere l’ampio sbuffo della gonna sulla sabbia, così zigzagando e dondolando i fianchi a destra e a sinistra, lo strascico della stoffa nascondeva le sue orme. Lily era sprofondata nella sabbia ancora un po’, sino al ginocchio, se ne tirò fuori facendo leva sull’altro ma quando riprese la sua andatura saltellante la lucciola era svanita nel nulla, e della luce della lanterna neanche una traccia. Il manto sabbioso era un uniforme saliscendi di piccole dune senza la minima impronta
“Signora Lucciola!” Lily corse da una parte poi dall’altra gridando più forte “torni indietro, non volevo offenderla!” maledì la sua linguaccia e la sua poca pazienza, ma una voce rassicurante e profonda le giunse all’orecchio.
“Non farci caso, è sempre così irascibile”
La linea d’un becco oblungo, traslucido come vetro smerigliato, finiva su due grandi occhi neri dal taglio ridente. Lily quasi non credeva più che il delfino esistesse ed allungò la mano per toccarlo.
“Ti ho trovato” sussurrò.
“Mi stavi cercando?”
“Si, mi hanno detto che puoi aiutarmi”
“Chi va dicendo queste cose terribili?”
“Una tartaruga di nome Lillie, ma cosa c’è di terribile?”
“Se si sparge la voce che aiuti gli altri, ecco che tutti vengono a romperti le scatole, si mettono a contare su di te, a chiederti dei favori, e più gliene fai e peggio è. Prima che te ne renda conto sei circondato da bisognosi di tutte le specie, pesci, conchiglie, persino uccelli pescatori e adesso, caspita, umani! Ma perché credi che me ne stia qui solo in mezzo al nulla? Perché ho voglia di aiutare gli altri? Secondo te sono pazzi quelli che se ne stanno a vivere da soli? Guardati intorno, cosa c’è che possa darmi fastidio? A parte te intendo. Niente e nessuno, e sai perché? Se sei buono e non cerchi guai, verranno gli altri a portarteli, e se intorno non hai nessuno finiscono tutti i tuoi guai”
“Non voglio portarti nessun guaio, ma potresti togliermi dal mio. Non so nuotare e forse puoi aiutarmi a tornare lassù” Lily puntò il dito verso la superficie increspata, la distanza sembrava addirittura raddoppiata dall’ultima volta e la luce sempre più tenue.
“Perché non ti sei fatta aiutare dalla tua tartaruga?”
“Non era la mia tartaruga, ed ha cercato di” una fitta all’orecchio le fece mordere la lingua “aiutarmi” divorarmi “ma non ce l’ha fatta”
“Se non ce la faceva perché ha provato?”
“Perché voleva aiutarmi”
“Se avesse voluto ti avrebbe presa in groppa e portata in superficie, ma ha preferito mandarti qui da me. Ho ragione io, che gli altri ti portano i guai, e non soltanto i loro, anche quelli degli altri. I generosi incapaci sono i peggiori di tutti! Prima si fanno belli con la mano tesa poi falliscono e ti mandano altrove: avanti, andate dal delfino, ci penserà lui.”
A Lily quel delfino cominciava a stare antipatico, ma era la sua unica speranza di tornare in superficie e cercò di non perdere la pazienza. Gli disse cos’era capitato alla tartaruga e il delfino cominciò a nuotarle in tondo nervoso senza dire niente, mandandole occhiate di disapprovazione.
“Hai dato da mangiare carne umana a una tartaruga, hai idea di cosa potresti aver combinato?”
“Non è certo bello perdere un orecchio, me lo sarei risparmiato volentieri!”
“A chi importa del tuo orecchio? Le hai fatto assaggiare il sangue, la tua Lillie potrebbe diventare un mostro marino, potente e vorace, capace di nuotare fino agli Oceani di Morphea e infestarli per mille anni, tormentando le anime dei naufraghi e minacciando le rive della Terra dei Cani Pazzi stessa. Ma chi accidenti sei tu, piccola sciagura umana? Fuori il nome!”
“Lily” sussurrò lei. Il delfino le nuotò più vicino, la fila di denti aguzzi sul becco dischiuso dava a quel sorriso un’aura minacciosa. Il becco si mosse e si chiuse, dal modo in cui aveva mosso le pinne, era sembrato scrollare le spalle.
“Bah” disse infine “forse hai reso il mare più interessante, da qualche tempo abbiamo carenza di mostri marini. Allora, tu vuoi tornare in superficie, ma è per una buona causa?”
“Devo trovare mio fratello”
“Meno male, le buone cause mi annoiano. Ti capisco sai, sono cresciuto mangiando i miei fratelli e non ho mai potuto soffrire che gli squali cercassero di mangiarseli al posto mio. Devi far presto a trovarlo prima che lo mangi qualcun altro. Sai dove trovarlo?”
Lily rimase interdetta, forse il delfino la stava mettendo alla prova per capire se meritava un aiuto ma non ne era sicura. Decise di far finta di niente ma esitò nel pronunciare il nome della destinazione, c’era nel suono di quelle parole qualcosa che le dava fastidio, un senso di disagio lontano, di ricordi spiacevoli e prospettive poco allegre. “E’ Nella Terra dei Cani Pazzi, devo tornare sul sentiero se voglio raggiungerlo prima che sia tardi”
“Tardi per cosa?”
“Non lo so… per qualsiasi cosa brutta che gli potrebbe succedere”
“Un momento” sibilò il delfino “mi puzza tanto di buona causa… non hai detto che volevi mangiartelo?”
“Non l’ho mai detto. Le persone non mangiano le persone”
“Neanche i delfini, o almeno così mi avevano sempre detto. Vuoi passare la vita a fare quello che ti dicono gli altri?”
“Sono qui per fare quello che voglio io, nessuno mi ha detto di venire a salvare mio fratello ma io ci sono venuta lo stesso”
“Questo è parlare. Ma credi che valga la pena salvarlo?”
“Certo che si!”
“E dopo cosa ci farai?”
“Mi prenderò cura di lui, lo aiuterò a crescere”
“Ma sarà come doverlo salvare ogni giorno dal mondo. Se dovrai dargli sempre da mangiare, ne avrai sempre meno per te. Non sarebbe meglio mangiartelo così che tu diverresti più robusta e forte?”
“Beh, forse un giorno lo mangerò, quando sarà cresciuto, così ci sarà più polpa da mangiare”
“No, non lo farai” disse il delfino “ma sei furba e mi piaci”
“Allora vuoi aiutarmi?”
“No, non voglio, ma ancor meno voglio che te ne resti qui a lagnarti, perciò salta in groppa e tieniti alla mia pinna”
Non appena Lily l’afferrò, il delfino schizzò a razzo in ascesa diagonale. Solo dopo un po’ rallentò diminuendo l’inclinazione e la velocità della risalita.
“Come hai intenzione di pagare il viaggio?”
“Devo pagare?”
“Ma certo” il delfino smise di salire, nuotando in cerchio “ogni cosa ha il suo prezzo. Ti ho portato a metà strada senza chiedere nulla, ora devi dimostrare d’essertelo meritata”
“Ma cosa dovrei fare?”
“Ovvio” ghignò il delfino “devi nuotare!” e con un guizzo le scivolò da sotto le braccia.
Lily si sentì subito risucchiare nel vuoto e cominciò a muovere gambe e braccia alla disperata. Il delfino la seguiva nuotandole intorno stando sempre un po’ più in basso, con occhi perfidi, divertito dalla sua paura.
“Perché? Aiutami!” cercava di dire, ma le parole venivano fuori distorte, come se l’acqua potesse nuovamente affogarla. La sentiva scendere in gola, cercò di bere, respirare, nuotare senza riuscire a fare niente di tutto questo, sprofondando sempre più.
“Io ti ho già aiutata” disse il delfino indispettito “ora devi salire con le tue forze. Se tornerai sul fondo avrai sprecato tutto il mio aiuto”
“Il mio cappello” gorgogliò vedendolo fluttuare via, perso nell’agitazione delle bracciate “riprendilo ti prego!”
“Se ci tenevi tanto non dovevi lasciarlo andare”
Lo specchio increspato della superficie si allontanava. Poté distinguere un istante le scie delle sue lacrime tingere l’oceano in stille nere come d’inchiostro, nel mezzo la scia rossa dell’orecchio ferito che tornava a sanguinare. Lily precipitava. Sempre più giù, tanto veloce che il cappello ora fluttuava sopra di lei. Tese le braccia. Annaspò. L’acqua le chiudeva la gola, spegneva i suoni tappandole le orecchie, bruciava gli occhi che non poteva più tenere aperti. Giù. Sempre più giù. Verso il fondo.