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Stai leggendo: "Nella Terra dei Cani Pazzi" - di Quinto Moro
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Capitolo 34
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Andy non sudava più come prima e la febbre era scesa, continuava a tremare e parlare della Terra dei Cani Pazzi in quello che a Lily sembrava troppo coerente per essere un delirio. Il bimbo sognava aprendo di tanto in tanto gli occhi e tendendo le braccia, e c’era nelle pupille qualcosa di liquido e innaturale, una nerezza ci era esplosa dentro, un pozzo d’inchiostro traboccato sulle iridi e tutto il resto, solcando il piccolo volto in lacrime nere così profonde che la testolina sembrava tagliata a metà, a partire dagli occhi e a scendere lungo le tempie, fin dietro le orecchie. Giunti al sottile confine tra meraviglia e terrore, da sbarrati gli occhi di Andy si serrarono e non ci fu più modo di farglieli aprire. Respirava ancora. Il cuore batteva, ma la sua pelle continuava a cambiare colore, ora rossa ora esangue, col sudore andava e veniva come fosse una spugna strizzata dal di dentro.
Lily fece tutto quel che era solita fare quando Andy si ammalava: gli asciugava il sudore, lo puliva, cercava di fargli bere un sorso d’acqua, di latte, di minestra, e gli parlava per fargli forza, anche se quelle parole servivano più a se stessa. Ma Andy non sembrava più essere lì. C’era solo il guscio, un guscio leggero e vuoto sempre più immobile e freddo. Lily l’abbracciò frizionandolo con le braccia e stringendoselo al petto, singhiozzando, come potesse trasmettergli il calore del suo corpo e un po’ del suo respiro. Continuò a stringerlo finché si sentì anche lei fredda, poi lo mise a letto coprendolo con cura sotto un robusto tumulo di lenzuola e coperte, giungendogli le manine sul petto perché l’anima non scappasse.
All’avvicinarsi dell’alba, sfinita, Lily crollò sul pavimento. Vide Andy che si allontanava, salutava tutto contento mentre lei strillava triste e furibonda perché tornasse indietro. Andy sorrideva e canticchiava filastrocche, scavava buche con le mani piantando semi che mettevano tra loro una foresta, lanciava in aria sassi che riprecipitavano grandi come macigni e montagne. Facendo cerchi con le mani, il bimbo pronunciava formule magiche in una lingua sconosciuta, lanciando un incantesimo perché Lily non piangesse per lui, trasformando in ghiaccio le sue lacrime. Ma ammonticchiati i cubetti si scioglievano in rigagnoli d’acqua che la facevano scivolare più indietro, allagando la stanza. Lily allungò le braccia per aggrapparsi al letto, sua unica scialuppa. La testa le pesava, schiacciandole il mento sul materasso. Gli occhi guardavano le montagne disegnate dai rigonfiamenti del lenzuolo, e tra i pendii di cotone celeste la piccola valle che accoglieva i semi bianchi dei Cani Pazzi, gli ultimi rimasti. Lily tirò il lenzuolo con calma, appiattendo le pieghe del tessuto finché i semi le giunsero alle labbra. Le schiuse. Li baciò. Li inghiottì.
Sull’altro lato del letto la sagoma di Andy svanì del tutto, deformata nei contorni. La camera si stava spandendo, o era Lily a rimpicciolirsi nell’aria più pesante su ogni centimetro di pelle. Sbarrò gli occhi cercando di cogliere la luce divorata rapidamente dal buio che usciva dai muri evanescenti. Non c’era più niente di solido. Il senso del tatto sparito dai polpastrelli e da tutto il corpo. Si sentì trascinare all’indietro e verso il basso, schiacciata nella vastità dello spazio e nell’assenza di equilibrio. Udì scrosci di pioggia e musica colorata, bolle rosse di crema e sapone, stille di miele d’oro pianto da maschere di fumo sotto una parrucca d’edera rinsecchita e friabile. Poi robusti tronchi di legno carbonizzato, radici d’ebano ad impallidire in beige sulla corteccia sino alle fronde tremanti, spaventate da leoni affamati e scimmie vestite in giacca e cravatta, adagiate sulla spalla di buffi pagliacci baffuti dai cappelli a punta. E di nuovo rocce giganti, iceberg nel cielo squarciati da tuoni e saette rosse d’acciaio, a sbriciolare l’azzurro in brillantini elettrici sotto i piedi e davanti agli occhi, ricoprendo il sentiero d’una strada stretta nel bosco.
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© Il Cantastorie Stonato - Racconti online by Quinto Moro
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