Stai leggendo: "Nella Terra dei Cani Pazzi" - di Quinto Moro
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Capitolo 37
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Lily se ne stava seduta a gambe incrociate, la Spada di Vetro sempre ben avvolta nel suo fodero rosso sul pavimento davanti a lei. Non le andava di toccarla, la smania di estrarla era svanita. Quanto era stato alto il prezzo per poterla maneggiare, quanto terribile il ricordo della nefasta venuta al mondo del suo fratellino, assassino inconsapevole di sua madre. No. Non era colpa di Andy. Anzi aveva pagato il prezzo più alto, in quella vita da recluso senza poter vedere e accarezzare la sua mamma. In questo Lily era stata più fortunata, poteva sempre ripescare qualche ricordo anche se gliene restavano pochi. Per la maggior parte erano ricordi di lei col pancione, perché le piaceva stare a guardarla anche se non stava facendo niente. Lei non parlava molto, ma il suono della sua voce restava nitido nei ricordi, insieme al profumo dei vestiti e dei capelli, e il modo in cui accarezzava quelli di Lily per farla addormentare. E poi l’odore del cibo cucinato da lei e come riempiva tutta la cucina di pentole e piatti sporchi anche per una semplice colazione. Come rideva d’improvviso a volte, quasi senza ragione.
Lily fissò il Guardiano, seduto pure lui a gambe incrociate. Un po’ lo odiava per averle riportato a galla quei ricordi, stava continuando a parlare e Lily lo ascoltò a lungo, o almeno fece finta di ascoltarlo. Le parole le entravano da un orecchio e uscivano dall’altro, faceva fatica a concentrarsi. La spada. La spada era tutto ciò che voleva. Ma il Guardiano aveva ricominciato a parlare di sua madre e si lasciò invischiare in quei discorsi.
“È possibile sia stato Lui a relegarne lo spirito a vagare per l’eternità negli oceani di Morphea. Forse ha voluto che tu la vedessi, per metterti alla prova, vedere se eri così forte da sopravvivere al viaggio, cadendo in mare saresti stata inghiottita”
“Ci sono caduta infatti”
“Ma ne sei uscita e sei arrivata fin qui. Per lui sei diventata un pericolo reale”
“Ha paura di me?”
“Certo che no, la paura è per i vivi”
Lily allungò le mani verso la Spada di Vetro, se la posò sulle ginocchia. Il fodero era rugoso come cartone bagnato, i lacci che legavano l’elsa imprigionando la lama somigliavano a quelli di vecchie scarpe, piatti e sfilacciati.
“Io non ci credo” disse Lily.
“A cosa?”
“Che un essere simile sia fratello di Andy. Lui è buono, come nostra mamma”
“Forse il Monchio non somiglia alla madre” disse il Guardiano.
“Se il Monchio è così forte, potrò davvero sconfiggerlo usando solo la spada?”
Il Guardiano scrollò le spalle. I capelli d’argento mostrarono uno scorcio del volto, la linea delle labbra sottilissime, quasi invisibili. “Tutto il suo corpo non è che un guscio d’oscurità, penso che l’unico modo per distruggerlo sia provare a disperderla, ma prima guardarci dentro, attraverso i suoi occhi.”
Lily si alzò, fissandosi la spada alla cintola. Non voleva più aspettare. Il Guardiano non fece resistenza, le si fece vicino e carezzò l’elsa della spada, come per dare il saluto ad una cara amica e augurandosi di rivederla al più presto.
“Procedi sempre verso est, vedrai la foresta cedere il passo ad una boscaglia più rada e il marciume delle paludi, e dopo di queste un pendio da cui potrai scorgere il massiccio di Uluru. Per quanto possa sembrarti lontano, una volta avvistato lo raggiungerai rapidamente, perciò non farti cogliere impreparata.”
Il Guardiano fece un cenno d’addio, Lily sentì il vento portare la carezza di quel gesto prima di vederlo svanire.
Con la Spada legata in vita e la Serpicorda sottobraccio Lily attraversò la foresta. In radure fitte di liane luminescenti s’aprivano spazi di eccezionale bellezza, cascate di colori e laghi fumanti d’acido scioglievano le foglie caduche: su ciascuna foglia era scritto qualcosa in un alfabeto sconosciuto, e al tremar del vento la pronuncia delle parole riempiva il bosco. Piccoli cani svolazzanti andavano a tuffarsi nei rivoli d’acqua ai piedi delle basse scogliere sotto un tetto di fronde di betulle bianche. Ruscelli in fiamme strisciavano nel sottobosco illuminando il volo d’insetti strillanti, e fate cavalcavano libellule di cristallo verde in oscene danze con satiri ridacchianti. Negli specchi d’acqua piccoli uomini nuotavano scappando da ancor più piccoli pesci che li inseguivano per divorarli. Nei cerchi di fumo di fuochi fatui le esalazioni d’un fungo di luce e fumo disegnava bassorilievi scolpiti nel denso vapore argenteo. Dagli alberi curvi scendevano rami alle cui estremità s’aprivano grandi fiori di pietre colorate.
Lily attraversò un frutteto di mele d’oro tanto più lucide e splendenti quanto più i loro alberi avvizziti: invitavano a farsi cogliere al più presto poiché cadendo marcivano all’istante e il loro scintillio dorato svaniva, con la terra intorno che mutava in sabbia spogliando la pianura e facendone deserto. Il suolo tremava e intorno a Lily la terra ribollì in enormi colline: sopra di queste gli alberi si rovesciavano finendo radici all’aria e i rami a conficcarsi nella sabbia o anch’essi inghiottiti. La sabbia si apriva per mostrare fauci di enormi vermi, che alzandosi come serpenti incantati ricadevano di schianto ad ingoiare le putride mele morte. I vermoni erano grandi quanto dieci palazzi e con le loro bocche divoravano sabbia e sputavano cristalli di vetro, e c’erano tra le mele alcune coraggiose che s’ingrandivano sperando di restar nel gozzo ai vermi per soffocarli.
A stento Lily riusciva a non guardare quegli spettacoli. Tentava di concentrarsi sul sentiero aspettando che la boscaglia si diradasse, aprendosi all’estremo confine della giungla in una moria di alberi appena abbattuti ma ancora vivi, ammassati e destinati al macello da quell’esercito d’asce che camminavano a coppie, alternandosi nel batti e ribatti sui tronchi, facendo scempio di cortecce e fronde.
L’umidità della palude emanava un lezzo ferale che avvolgeva ogni cosa in un cappio. Nei fanghi sprofondavano rocce e querce, che rimasticate tornavano a galla in bolle di melma ispide di schegge legnose ridotte a filamenti viscidi, verminosi capelli su teste scarmigliate. Lampi e boati tempestavano il cielo, fuochi d’artificio illuminavano le rovine di una città come predetto dal Guardiano.
I lampi coloravano aria e terra di verde e arancio, bianco ad azzurrarsi e rosso ad ingiallire, mentre le scie discendevano in traiettorie curvilinee o zigzaganti, ribelli alla forza di gravità. Le stelle artificiali scoppiavano le une dietro le altre, sotto l’egida di sgargianti bandiere al vento issate altissime. Colonne muffite e coperte di rampicanti cingevano grattacieli e colossi di architettura barocca sgretolati ere addietro. Carcasse animali festeggiavano la decadenza, mentre cortei di uomini si mescolavano a cani e maiali in un corteo di grida stridule. Angeli con le ali spezzate picchiavano dal cielo schiantandosi al suolo roccioso, mentre branchi di monatti si affollavano intorno ai feriti strappandogli piume e denti d’oro.
“Non ti fermare” disse uno distante tre passi.
“…e vedrai che andrà tutto bene” proseguì un altro, più vicino.
“Qui non c’è niente da vedere” fece un terzo.
“Proprio niente che ti riguardi”
I monatti erano inquietanti, ma nessuno aveva fatto un solo passo verso di lei. D’improvviso un angelo cadde proprio davanti a Lily che fece per cambiare strada, non voleva perdere tempo, ma l’essere agonizzava con le vesti e le ali bruciacchiate. L’angelo annaspava, gli occhi colmi di lacrime scrutavano il cielo come in cerca di una risposta a quella punizione, ma il cielo era silenzioso e immobile. L’essere tese la mano verso Lily, indicava il fodero della Spada di Vetro per poi farsi un segno sul petto.
Le teste dei monatti erano tutte rivolte verso Lily, sembravano indicarla coi loro becchi bianchi. Lily guardò l’angelo moribondo e muto e di nuovo i monatti, ora più vicini ma all’apparenza immobili. Il volto dell’angelo era bello e spaventato. Lily non ebbe il cuore di passare oltre senza inginocchiarsi a tenergli la mano, ma quello la respinse, indicando ancora la spada e poi il suo petto.
“Guardalo” disse un monatto ormai vicino
“Vuole che lo uccidi” parlavano uno di seguito all’altro, cosa che a Lily cominciava a dar fastidio.
“Non lo fare”
“…o si dissolverà”
“…e addio bottino”
“Niente piume e denti d’oro”
“…che sciagura”
“Questo è più giovane degli altri”
“…e magari ha tutti i denti”
“Lascialo a noi” incalzò il più vicino dei monatti.
“Morirà comunque”
“…è spacciato”
“Il suo dio l’ha punito”
“Andate via” disse Lily.
“Vai via tu”
“Facciamo solo il nostro lavoro”
Lily sciolse il cordoncino che teneva legata l’elsa al fodero e sguainò la spada. I monatti rimasero a fissarla, per niente impressionati, anche perché oltre all’elsa e al manico, non c’era niente. Nessuna lama. Un’altra beffa. Il Guardiano l’aveva ingannata, non c’era nessuna Spada di Vetro: era poco meno che un bastone di legno. Le parve di sentire le grasse risate del Guardiano alle sue spalle, il ruggito del Monchio e il grido di Andy ormai perduto.
“Stava solo bluffando”
“Ci avevo quasi creduto che fosse armata”
“Ma tu guarda che tonta”
“…non doveva estrarla”
“… ma si è fatta prendere la mano”
“…e anche la lama!”
Coro di risate da cornacchia.
“Forse non lo sapeva”
“L’hanno imbrogliata”
“Da chi hai comprato quella spada?”
“Quella non-spada vorrai dire”
“Il tizio di guardia nella foresta?”
“Il Guardiano vorrai dire”
“Quella è la Spada di Vetro allora”
“Non lo è decisamente”
“Esiste poi questo Guardiano?”
“La sua spada direi di no”
“Niente spada niente guardiano”
“A cosa fa la guardia altrimenti?”
“Adesso alza i tacchi”
“…o prova a batterli tre volte”
“…e tornatene in Kansas”
Altre risa.
“State zitti!” il grido di Lily fu accompagnato da uno scricchiolio, molto simile al cigolio di una porta. Il monatto davanti a Lily curvò la testa che poi cadde con un tonfo, il corpo cascò all’indietro.
“Sei impazzita?”
“Assassina!”
“Sciacalli!” gridò Lily, brandendo il manico con rinnovata fiducia. I monatti indietreggiarono, giacché altri angeli erano caduti tutt’intorno e avevano di che banchettare, non prima di aver raccolto il sacchetto di denti e piume del compare decapitato, spintonandosi e litigando su come spartirseli mentre si allontanavano.
L’angelo morente si agitava più che mai chiedendo di farsi pugnalare. Lily osservò il manico della spada e l’elsa. La lama era completamente invisibile, cercò di toccarla e subito sentì una fitta. Si era tagliata. La goccia di sangue corse lungo il filo rivelando la lunghezza della Spada di Vetro. La maneggiò con più cura e guardandola da vicino riuscì a scorgervi il riflesso dei suoi occhi, e subito accanto quelli neri del Guardiano. Lily si voltò di scatto immaginando di trovarlo alle sue spalle ma non c’era nulla. Cercò nuovamente nella lama, riuscì a distinguerne il contorno. Gli occhi del Guardiano si erano chiusi e riaperti lentamente. Lo scambio di sguardi fu come un breve discorso. Il Guardiano era deluso e pentito di averle concesso la spada, il fallimento di Lily gli sembrava inevitabile. Era stata costretta a dubitare di tutto, difficile smettere. Il Guardiano svanì dal riflesso della lama, e poiché era bagnata del suo sangue, Lily pensò che il potere in esso avrebbe guarito l’angelo morente. Magari avrebbe generato un altro mostro, ma non stette a pensarci troppo: puntò la lama al centro del petto, dove l’angelo indicava, e la fece scendere. L’angelo fece un grido muto, seguì un sorriso e con un ultimo sforzo prima di liquefarsi indicò un albero nel tetro della palude.
Tra gli alberi spezzati ce n’era uno più alto e robusto, il tronco largo quanto l’abbraccio di dieci bambini. Nella corteccia c’era una piega, una rientranza scura. La Serpicorda prese ad agitarsi Lily la lasciò libera di esplorare l’anfratto, dove trovò un sacchetto di monete.
“Quattrocento ghinee” disse una voce dall’albero “in pegno della tua compassione” e Lily vide che il taglio sulla sua mano era guarito.
Lily risalì lungo il pendio. La curvatura dell’orizzonte sembrava essersi inclinata ed incrinata tanto da spaccare il paesaggio. L’aria vibrava, accartocciandosi in pieghe che impastate all’oscurità restringevano il cielo, abbassandolo tanto che la notte sembrava un macigno pronto a cadere sulla valle. Lily affrettò il passo come a volersi lasciare dietro l’angoscia dell’imminente battaglia. Vinta la salita vide il cielo pulsare in piccoli lampi lontani, un eco di luce attenuato dal vello di nubi. Nel deserto più in basso il monolito di Uluru attendeva come un’enorme larva accoltellata e strisciata fuori dall’inferno, pietrificata e ancora sanguinante.