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Stai leggendo: "Nella Terra dei Cani Pazzi" - di Quinto Moro

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Capitolo 6

 

Fino all’età di nove anni Lily non aveva mai sentito il padre rivolgersi direttamente a lei. Le aveva detto tante volte di stare zitta o andare a giocare da un’altra parte – soprattutto quando portava i suoi amici in casa – o di uscire dal soggiorno e andare in un’altra stanza quando abbracciava la mamma sul divano. Era capitato che l’avesse fatta sedere sulle ginocchia dicendole di non piangere, anche se era stato lui a farla piangere, ma Lily non riusciva a ricordare una sola volta che l’avesse chiamata per nome. Tutt’al più, quando parlava di lei con la mamma, diceva sempre “tua figlia”. Non metteva disprezzo né rabbia nel tono ma faceva delle occhiatacce se gli si faceva notare che era figlia di entrambi.

Lily vedeva il padre come quei personaggi delle favole che non si capisce bene come siano fatti. Quelli strani che un giorno sono malvagi e il giorno dopo buoni. Che quando sono arrabbiati picchiano, quando sono tranquilli fanno le coccole, e quando sono confusi mischiano tutto insieme. Da molto piccola, quando la nonna le leggeva le prime storie, Lily immaginava che il padre fosse un re e sua madre una regina. Il re dal cuore indurito per le carestie e le guerre, e la regina malinconica e dolce per gli stessi motivi.

Fino a nove anni l’aveva sempre immaginato come il papà burbero, dal cuore buono nascosto alle persone care cui in fondo voleva bene. L’idea l’aiutava ad accettarne i modi bruschi, le urla e i rimproveri, gli schiaffoni che di tanto in tanto sferrava con noncuranza, ma era proprio la naturalezza con cui lo faceva a convincerla che non fosse cattivo. Lo faceva come se non lo riguardasse, mentre un cattivo ci avrebbe provato gusto. Forse lui non sapeva quanto fanno male gli schiaffi, o doveva averne presi tanti anche lui, così tanti da non pensare che fossero una cosa cattiva. Perciò Lily non lo odiava, non gli voleva male anche se sapeva di voler molto più bene alla mamma e forse anche di più a chi stava per nascere. Quella nascita le sembrava un gran mistero perché non era ancora successa ma già sognava cos’avrebbe portato: un principe bambino forte e intelligente, venuto da un altro mondo per entrare nel suo e chissà quante cose avrebbe cambiato. Forse quando il piccolo principe sarebbe nato e Lily sarebbe diventata principessa, anche il papà si sarebbe comportato da vero re, facendo della mamma una regina. Magari il principe avrebbe potuto insegnare al re come essere nobile, o l’avrebbe spodestato per mostrargli come ci si comporta da buoni sovrani. Ma perché non poteva essere lei la sovrana giusta e nobile? Perché aspettare un principe fratello per cambiare le cose? Perché Lily aveva paura mentre il nuovo principe sarebbe nato senza, e sarebbe compito suo non fargliene avere mai.

La paura, una malattia che viene da piccoli e chissà se si può guarire. Lily aveva visto che anche i grandi avevano paura, perfino suo padre ne aveva certi giorni: quando aspettava qualcuno di importante o doveva finire un lavoro in tempo per la consegna, o quando sentiva una sirena squillare per strada tendendo l’orecchio finché il suono non svaniva lontano. Chissà quando si era ammalato. Sua madre invece non sembrava aver mai conosciuto la paura né la rabbia, e adesso che Lily se ne accorgeva sapeva di non somigliarle quanto avrebbe voluto. E tutta la tenerezza e l’affetto del mondo non erano serviti a renderle più simili.

 

 

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