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Stai leggendo: "Nella Terra dei Cani Pazzi" - di Quinto Moro

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Capitolo 7

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L’acqua intorno sembrava diventata bollente, ma era il sangue Lily a ribollire nella rinnovata sensazione di terrore per la mancanza d’aria. Le pupille avevano eclissato le iridi verdi e fissavano una luna increspata vibrare lassù, dove la superficie sembrava essersi ristretta ad un anello pallido. Tutt’intorno il mare era annerito mentre risaltavano i colori sfocati nell’alone ovale di un fuoco fatuo sospeso, bioluminescenze dei giocosi plancton che componevano la sfera di un volto. La faccia vorticava su se stessa, con la bocca che si apriva sino agli occhi e gli occhi a diventar bocche. L’immagine si scomponeva e si riuniva in altri colori fino a che si aprì nell’espressione triste di un bimbo dagli occhi sproporzionati. Era paffuto e imbronciato, era Andy all’età di un anno, che piangeva per la fame. Il volto si distorse e cambiò in un’espressione cattiva o forse solo molto delusa.

I corpuscoli di luce si agitavano furenti e le venivano incontro. Lily sentì come se il plancton le si stesse attaccando al viso per sgranocchiarle la pelle sulle guance, avvoltolandosi in sottili flagelli e tentacoli, come una barba che le aggrediva il volto e cercava di strapparle via la pelle, stirando le palpebre all’insù affinché non potesse nascondervisi dietro.

Sulla schiena e sulla nuca la pelle lottava per trattenere la spina dorsale attratta dal fondale, le vertebre a cresta come quelle d’un mostro bramoso di uscire allo scoperto.

Non hai spina dorsale ragazzina! L’insulto trasformato in profezia in procinto d’avverarsi: di Lily non sarebbe rimasto che un mollusco, una manta fluttuante in un mare senza pesci. Una fitta lancinante le attraversò la testa da un orecchio all’altro. La pelle tesa sugli zigomi e sulla fronte sembrava volerle scoprire il teschio a partire dalle labbra, ma Lily non l’avrebbe lasciata fuggire facilmente. Spinse la mandibola in fuori, mandando i denti inferiori ad arpionare il labbro arricciato in su. Torse gli occhi ancora e ancora per riavvolgere le palpebre come un lenzuolo uscito dal suo rimbocco, chiuse le mani a pugno abbracciandosi il petto per poi inarcare la spina dorsale e spingersi in su. Percorsa da una scarica elettrica Lily tese nervi e muscoli che frustarono le membra, facendole martellare furiose nella scalata alla montagna d’acqua verso il cerchio luminoso della superficie. L’ascesa da lenta si fece veloce mentre Lily graffiava e schiaffeggiava i flutti, scalciando e slanciandosi, incurante dell’acqua che spingendo in fondo alla gola e le narici cercava di appesantirla e trattenerla. Ma Lily ribolliva e l’acqua con essa, bruciava, come benzina dentro un razzo.

Vide il delfino poco più avanti di lei ascendere senza il minimo sforzo, fissandola nei profondissimi occhi neri. Ghignava con quei suoi denti aguzzi, e nel desiderio d’afferrarlo per il muso e squarciargli la faccia Lily nuotò più forte, l’aveva raggiunto e quello sembrava divertirsi un mondo, sfidandola in velocità e facendo la sua risata da delfino. Lily era ormai ad una spanna dalla sua pinna posteriore, poi da quella dorsale, e quelle sul ventre. Salirono insieme finché Lily non vide che il delfino si abbassava sempre di più, e quando il becco del cetaceo scomparve in basso le sue dita sfiorarono il pelo gelido della superficie. Una macchia rossa s’accese oltre il pelo dell’acqua. Una mano le afferrò il polso e con stretta ferma la tirò fuori.

 

 

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